giovedì 7 aprile 2011

Newsletter n.9/2011 - Un altro mondo è stato possibile. Lombardia 1994

Quando Elvira, dodicenne, sua madre, sua nonna e i suoi fratellini nel 1994 arrivarono a Cevo, nell’alta Valle Camonica avevano addosso la stanchezza senza speranza e la tristezza spaesata di chi fugge da un massacro incomprensibile, da una guerra cruenta in cui le vittime erano soprattutto i civili, sottoposti a quella violenza sistematica, razzista e nazionalista che da allora ha preso il nome di pulizia etnica.
L’iniziativa di portarli via da un campo profughi croato per dar loro la possibilità di ricominciare a vivere è stata presa una cordata di sindaci bresciani. Elvira e i suoi venivano da Srebrenica, teatro del più tremendo massacro della guerra di disgregazione della ex Jugoslavia.
Ad accogliere le due donne e i tre bambini c’era mezzo paese, venne messa a disposizione della famiglia Mujcic una casa, del cibo e poi la scuola e un lavoro. Elvira e i suoi erano musulmani di Bosnia. Nella Jugoslavia socialista le religioni non avevano un gran peso, soprattutto tra gli intellettuali. E la mamma di Elvira, che a Cevo si guadagna da vivere ancora facendo l’operaia, era fisico nucleare. Il parroco, don Paolo, si preoccupò di evitare ai profughi musulmani l’imbarazzo di un’abitazione con i simboli di una religione che presumeva non fosse la loro. Andò a casa, staccò dai muri crocifissi e immagini della Madonna e portò in dono ai nuovi concittadini un Corano.
Fra qualche settimana, alla fine di aprile, due classi di due scuole mantovane andranno in Bosnia, in un viaggio organizzato dall’Assessorato alle politiche sociali della Provincia di Mantova e dall’Istituto mantovano di storia contemporanea. Dopo un lungo itinerario di preparazione, hanno incontrato Elvira Mujcic, che oggi vive a Roma, dove scrive e pubblica bellissimi libri in italiano. “Riuscite a immaginare che quanto è accaduto a me nel 1994 possa accadere a una famiglia di profughi anche oggi?” ha chiesto la giovane scrittrice ai ragazzi.
Una storia analoga è quella di Elzada Sarhatlic, che col suo racconto della pulizia etnica e della fuga da Stari Majdan, al nord della Bosnia, ha aperto il percorso di formazione riservato agli studenti mantovani. Anche lei e sua sorella hanno trovato a Roverbella, in provincia di Mantova, un’accoglienza che ha dato alle due bambine conforto e strumenti per costruirsi un futuro insieme alla madre.
Tra il 1992 e il 1995, 78.500 profughi in fuga dalla ex Jugoslavia in guerra sono stati accolti in Italia, e il numero si riferisce solo a coloro che sono entrati in Italia con un regolare permesso di soggiorno per motivi umanitari; molti non ebbero il tempo o non vollero chiederlo e nel nostro Paese entrarono ugualmente. Magari in transito verso Paesi europei in cui la normativa sui diritti dei rifugiati era (come tuttora è) migliore, più garantista e organica.
Erano musulmani, cattolici, ortodossi, atei che trovarono in Italia, nell’Italia del Nord soprattutto, un’accoglienza spesso straordinaria; decine di lombardi, di veneti, di piemontesi e non solo aprirono le proprie case a chi non ne aveva più una. Si formarono famiglie allargate, non sempre facili da gestire; molti italiani rinunciarono per mesi, in qualche caso per anni, al secondo bagno, alla camera in più, all’appartamentino preparato per il futuro dei figli per ospitare gli stranieri. A farlo era gente comune, spesso furono i parroci a promuovere l’accoglienza; ma anche gli enti locali, le organizzazioni di volontariato.
Dov’è finita quell’Italia che non aveva paura dell’altro? Come può avere dimenticato se stessa? Quando, alcuni anni fa, ho chiesto a un giovane uomo dell’Azione Cattolica perché nessuno di loro avesse pensato di scrivere quella bellissima storia, mi ha risposto con una frase che esprime un principio evangelico, pratica dei cristiani migliori: - Non sappia la mano destra quel che fa la sinistra. Non facciamoci vanto delle nostre buone azioni.
Ma le storie e la Storia vanno raccontate, contribuiscono a costruire l’autocoscienza dei popoli, stabiliscono un piano di realtà che serve a orientarsi nel futuro. La smemoratezza travolge l’Italia, non si elaborano le colpe del passato prossimo, ma nemmeno i gesti di coraggio di un passato così recente. Oggi c’è soprattutto paura; gli stessi paesi che hanno accolto nelle proprie case i profughi quindici anni fa, oggi plaudono a chi dice di buttarli fuori dalle scatole tutti, senza perder tempo a distinguere chi fugge da una guerra o, semplicemente, ‘banalmente’, dalla fame, dalle malattie o dalle discriminazioni. Fuori tutti, anche i minorenni, i bambini.
Speriamo che la bozza d’accordo che prevede la concessione di permessi temporanei vada in porto in condizioni di rispetto per la dignità dei migranti. E se qualche italiano decidesse di aprire la propria casa, come è accaduto negli anni Novanta, a una donna, un uomo, un bambino in fuga verso la vita?
Grazie, Elvira, di averci ricordato che un altro mondo, nel suo piccolo, è stato possibile anche da noi.

Maria Bacchi

Leggi la Newsletter n.9/2011

Nessun commento: