martedì 22 febbraio 2011

Newsletter n.3/2011 - Razzismo minore

Noureddine Adnane, il giovane ambulante marocchino che una settimana fa, a Palermo, si era dato fuoco, come estrema e disperata protesta contro i ripetuti sequestri della sua merce e della sua dignità, è morto. Aveva un regolare permesso di soggiorno e una altrettanto regolare licenza di vendita. Il regolamento comunale prevede però che gli ambulanti non possano fermarsi più di un’ora in un certo luogo della città, e per questo una più che meticolosa pattuglia di vigili urbani – sempre gli stessi, a quanto pare – ha provveduto contro di lui a quattro sequestri in pochi giorni. All’ultimo, Adnane (da dieci anni in Italia, moglie e figlia in Marocco) non ha retto più: ha minacciato di darsi fuoco, tra l’incredulità o l’indifferenza dei presenti, e lo ha fatto. Nel suggerire una riflessione su questo avvenimento terribile mi ero riproposto di superare il livello della cronaca e della denuncia, per tentarne piuttosto una analisi, per così dire "tecnica". Dopo tutto, è quello che più o meno ci si aspetta dal sociologo di professione: avere elementi per capire "perché" episodi come questo possano accadere. Ma mi accorgo di avere in mano solo armi spuntate, come in pochi altri casi. Non vi è nulla da capire, nel caso di Adnane: tutto è chiaro e ripetuto infinite volte.

Si sono stabilizzati nel nostro paese (e, ovviamente, non solo da noi) meccanismi inerziali di eliminazione dei più deboli, che procedono con grande efficacia, meccanicamente e spietatamente. Agiscono nell'indifferenza e nell'impazienza dei più, tollerati e spesso giustificati da una correlativa ansia di affermazione e talvolta di prevaricazione. C'è un'intolleranza latente, che cerca ogni occasione per precipitare in gesti di discriminazione concreta, e tanto più in contesti sociali svantaggiati. Vi sono pratiche istituzionali incapaci di cogliere con intelligenza gli obiettivi primari, e comportamenti di ruolo che ne mettono in atto i tratti più aggressivi e arroganti. Vi sono i segni di un razzismo 'minore' che non ha bisogno di imprenditori politici espliciti, perchè ormai è capace di procedere da sé, burocraticamente e anonimamente, nelle pieghe della 'normalità' dei comportamenti quotidiani. Non accontentiamoci del cordoglio, neanche di quello sincero: si tratta piuttosto di ricostruire le condizioni per una nuova (e minima) coscienza civile.

Enzo Campelli, sociologo

Da l’Unione – informa, 22 febbraio 2011

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martedì 15 febbraio 2011

Newsletter n.2/2011 - Donne, o Dell'esasperazione

Alla manifestazione "Se non ora, quando?" di Bologna eravamo tante, in questa domenica di quasi San Valentino in cui c’è poco da festeggiare, quanto a rapporti tra i generi. Un corteo lunghissimo, di circa cinquantamila persone, in gran parte donne. Signore sessantenni o giù di lì, con gli occhi lampeggianti a tradire l’entusiasmo di essere di nuovo in piazza, insieme, fianco a fianco delle figlie trentenni e delle loro bimbe, a loro volta mischiate a liceali e universitarie. E poi uomini, quelli sani: chi con una bambina seduta sulle spalle, chi per mano alla fidanzata, o a braccetto di una moglie – magari, chissà, conosciuta quarant’anni prima in una circostanza simile. "Cosa stiamo facendo, papà?", alza gli occhi una bimba di quattro, cinque anni. "Ci stiamo provando, tesoro!", risponde lui sorridendo, con un tono che sembra tanto una promessa. Molto si è dibattuto in questi giorni, a proposito della manifestazione che ha coinvolto tutte le piazze d’Italia – un appello a dichiarare il proprio sdegno e la propria stanchezza, rivolto alle donne e agli uomini ‘amici delle donne’. Tra le donne e tra le fila dei movimenti femministi sono sorti punti di vista differenti, pro o contro un evento pubblico passibile di varie e contrapposte interpretazioni; al di là delle opinioni sulla manifestazione, il fulcro del dibattito risiede più in profondità, nel come pensare, descrivere, parlare di e prendere posizione rispetto a una serie di episodi che hanno svelato in modo macroscopico il legame tra sesso e potere politico e, ancora più alla base, rispetto a un certo schema di rapporto tra i sessi, che credevamo affossato per sempre. Il modo in cui questo ‘come’ è stato discusso sui giornali e nei media in genere sembra aver escluso, ancora una volta, il punto di vista più profondamente femminile – e dunque femminista – sulla questione. In molti casi, il Rubygate è stato presentato come una sbavatura del ‘privato’ nel ‘pubblico’, un eccesso del primo che, proprio in quanto eccesso, ha debordato, invadendo la sfera del pubblico. Come a dire che, se questo privato non avesse coinvolto, ad esempio, persone minorenni o il rischio della ricattabilità, avrebbe potuto restare relegato ai salotti e alle stanze da letto del signore in questione, il quale avrebbe continuato a gestire il proprio ruolo pubblico in tranquilla indipendenza dal proprio fare privato. Ebbene, che queste due sfere siano e debbano restare scisse ed estranee l’una all’altra, è tutto da verificare. Se certo pensiero maschile tende a dividere i due aspetti, terrorizzato dall’ipotesi che il pubblico possa essere influenzato e inquinato dal privato, il pensiero femminista sa guardare a questi due ambiti come ad elementi che si completano e fecondano a vicenda. Il ‘privato’ deve poter partecipare del ‘pubblico’; quando il privato è politico, certamente più di quanto lo sono le alleanze tra partiti, i discorsi, le cariche istituzionali. Anche in casa propria, un personaggio pubblico resta tale e, in quanto investito di grandi poteri, deve saper essere degno di grandi responsabilità, non ultima quella dell’esempio.

A parere di molte, il nodo della questione non è nemmeno quello individuato dalla politica ufficiale, la cui tentazione è stata – sostiene Elettra Deiana – "di derubricare inclinazioni e pratiche sessuali del premier alla mera dimensione personale, o di enfatizzare […] soltanto il profilo scandalistico e possibilmente giudiziario".(1)

Non è gossip da salotti e non è (solo) problema legale: tutto questo è, infatti, ben più grande e grave di così. Non si tratta nemmeno di distinguere tra coloro che ‘scelgono’ la prostituzione, "indecenti per obbedienza" come la Marilyn di Pasolini, e "tutte le altre donne" cui Concita De Gregorio ha rivolto il suo appello, perché questo porta con sé odore di moralismo; né è questione di dignità della nazione, specchio secondo alcuni della dignità femminile, poiché "è certo che dignità e libertà femminile si sono affermate da sempre non dentro e con, ma dentro e contro le vicende, oggi e non solo oggi alquanto indegne, della nazione, e in un movimento ben più largo dei suoi confini".(2) Ugualmente, è opinabile l’idea che ad essere violata dal sexgate e dai suoi strascichi sia la dignità solo femminile; questa messinscena della virilità dovrebbe offendere almeno allo stesso modo, o forse più, gli uomini italiani, che invece di ergersi a paladini della dignità delle "loro" donne – scivolando miseramente in quegli stessi meccanismi machisti che credono di stare criticando – dovrebbero interrogarsi sulla loro. [...]

Elena Borghi

1. E. Deiana, "Barbarie e voyeurismo", in Gli Altri, 28 gennaio 2011.

2. I. Dominijanni, "Tre desideri per domenica e dopo", in Il Manifesto, 11 febbraio 2011

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martedì 8 febbraio 2011

Newsletter n.1/2011 - Il presente della memoria

A ripresa della nostra newsletter settimanale pubblichiamo l’introduzione del Presidente di Articolo 3 in occasione della presentazione del nostro rapporto annuale, il 31 gennaio 2011.

Articolo 3 presenta oggi il suo il terzo rapporto annuale, il documento ufficiale dell’attività svolta nel 2010, che, confrontato con i precedenti, rivela l’autorevolezza acquisita nel periodo trascorso da quel 1° maggio 2008 quando l’Osservatorio – su iniziativa delle Istituzioni locali, Provincia e Comune di Mantova, delle associazioni Sucar Drom, Istituto di cultura sinta, Arcigay, Istituto mantovano di storia contemporanea e Comunità ebraica con la collaborazione di UCEI – ha iniziato il suo percorso operativo tra le più ampie incertezze. Gli elementi del nostro legittimo orgoglio emergono sin dalla semplice lettura del rapporto stesso e dall’allegato: in particolare, i riconoscimenti di UNAR, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, che ci ha scelto come suo referente territoriale e l’attribuzione del finanziamento europeo per il progetto In other words - Con altre parole, con compiti di riferimento e coordinamento per esportare agli osservatori nascenti in altri Paesi europei i nostri modelli organizzativi. La riconosciuta esperienza di Articolo 3 si è forgiata nella multiforme attività quotidiana: l’analisi della rassegna stampa locale e regionale lombarda, l’evidenziazione degli atti discriminatori in essa contenuti, l’estrapolazione degli argomenti da discutere in sede di redazione della settimanale newsletter; le collaborazioni formative in ambito scolastico; e l’attività dello Sportello antidiscriminazione. Nella locandina predisposta da Articolo 3 per la presentazione del rapporto annuale è citata la frase di Primo Levi: “A molti individui o popoli può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni straniero è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come un’infezione latente. […] la storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo”, affermazione che costituisce la nostra essenza propulsiva. I moniti che Articolo 3 rivolge alle espressioni e agli atti discriminatori vengono indeboliti, se non risucchiati, dall’impatto con il massificato contesto culturale superficiale e depresso, assai ricco di modelli fasulli, che si manifestano con gli atteggiamenti passivi, certo meno impegnativi ma anche assai meno civili. L’incisività di Articolo 3 nel tessuto sociale non può competere in termini persuasivi con quella dei media, che si insinuano ed ingombrano le nostre case diffondendo concetti lontanissimi da quelli che hanno ispirato i Padri e le Madri della Patria, che corrodono progressivamente i consolidati pilastri della Costituzione e della democrazia. Tuttavia, Articolo 3 non demorde e proseguirà con sempre maggiore tenacia la sua missione, forte della straordinaria coesione delle sue componenti, minoranze fuse in un’unica che ne moltiplica tanto la determinazione quanto la voce, e nella certezza che le Istituzioni, Provincia e Comune di Mantova, ma non solo queste, consolidino l’indispensabile sostegno, considerando l’Osservatorio un’irrinunciabile risorsa per le stesse Istituzioni ed insostituibile riferimento per tutti i cittadini e le cittadine.
Fabio Norsa

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