FOTO PARLANTI, F. Ruolo e A. Pona

Foto parlanti  il linguaggio del razzismo*
                                                    
        Franca RUOLO – Alan PONA



Stereotipo e pregiudizio possono essere paragonati ai concetti: come questi hanno la pretesa di significare il reale e il modo di organizzarlo. La differenza fondamentale sta nel fatto che gli stereotipi (e i pregiudizi) sono più rigidi dei concetti perché resistono all’esame della critica. Sono un’opinione (o meglio una credenza) senza ragionamento.

Mondher Kilani

1.                   Introduzione

Il libro foto parlanti è un testo di lingua italiana per stranieri, edito da Bonacci editore, che circola in molte librerie e in cui è facile imbattersi per noi insegnanti di italiano L2[1], curiosi di confrontarci con diverse esperienze didattiche. Il sottotitolo recita: immagini, lingua e cultura. Le autrici, Vittoria Tettamanti e Stefania Talini, entrambe docenti alla Syracuse University in Florence, ne chiariscono il significato nella parte introduttiva: il libro nascerebbe “dall’esigenza di ‘fare parlare’ gli studenti” attraverso delle foto scattate da altri studenti in soggiorno di studio a Firenze; immagini che permetterebbero agli apprendenti “di indagare nella vita quotidiana degli italiani riportandone una visione meno convenzionale, come un loro diario di vita quotidiana” (Tettamanti Talini 2003: 7).
Gli intenti dichiarati dalle autrici sarebbero interessanti, se  questo “diario giornaliero” non parlasse,  invece, un linguaggio intriso di  allarmanti cliché e pregiudizi, presenti in particolare, come si vedrà nel corso di questo nostro intervento, nell’unità 8, dal titolo “Dammi qualcosa!” (ibidem: 40-43). In questa unità di foto parlanti, infatti, l’obiettivo programmatico, come indicato nell’indice, sarebbe quello di sviluppare il lessico e l’area tematica riguardante “gli zingari”. “Dammi qualcosa!” si apre con la foto di una “zingara che chiede l’elemosina”, di cui, attraverso una serie di attività glottodidattiche, si presenta una progressiva criminalizzazione: la donna fotografata si tramuta in una “zingara protagonista di un episodio di furto e aggressione” in un “articolo di cronaca” proposto nella parte centrale dell’unità, funzionale alla discussione finale dal titolo “gli zingari causano solo problemi e vanno emarginati? tu da che parte stai?”.
Cominciamo, dunque, lo studio di questa unità didattica di foto parlanti. Immagini, lingua e cultura.


2.                   L’unità didattica “Dammi qualcosa!”

La foto: una zingara con un foulard sulla testa, la borsa a tracolla, una gonna a fiori, un bicchiere di plastica e un cartello, chiede l’elemosina sul marciapiede di una strada trafficata, di fronte ad una chiesa, tra persone indifferenti che aspettano l’autobus.
Abbiamo svolto l’attività proposta nel testo, utilizzando la maggior parte delle parole suggerite nella sezione “per attivare il lessico”. Secondo le autrici, questa attività mirerebbe “all’arricchimento lessicale” e sarebbe una “strategia per far cogliere gli elementi descrittivi” allo studente che osserva la foto. Già dalla presentazione dell’immagine appare ben lontano l’intento che “il codice iconico sia stato utilizzato per la sua intrinseca polisemia, per la ricchezza dei suoi possibili significati”, come riporta la recensione di Massimo Maggini (Maggini 2003). La foto non lascia spazio ad alcun pluralismo di sguardi, è una immediata espressione di riproduzione di un cliché: “la zingara che chiede l’elemosina”, anzi che pretende l’elemosina, come suggerisce il punto esclamativo del titolo sottostante “Dammi qualcosa!”.
Il punto esclamativo (quanto più possibile evitato nelle scritture di qualche pacatezza ed equanimità, e sempre più considerato indice di esagitazione) […] L’esclamativo compare particolarmente con imperativi e costruzioni esclamative ellittiche: vattene!; che roba! (Lepschy – Lepschy 1981: 93).
Osserviamo attentamente la foto: la donna al momento dello scatto non sta affatto esigendo che le sia offerto del denaro; c’è da chiedersi se non sia la fotografa[2] ad esigere da lei qualcosa. Anzi, ci chiediamo: è stato chiesto alla signora il permesso di scattarle una foto? È stata informata del fatto che il suo volto sarebbe stato pubblicato su un testo di lingua italiana per apprendenti stranieri?
Vorremmo chiedere a quale contesto d’uso della lingua indicato dal Consiglio d’Europa[3]  si farebbe risalire il lessico di questa unità didattica[4]? E ancora  vorremmo sapere in che modo venga sollecitata “la creatività dello studente” nell’attività “Tocca a Te! Usa la fantasia” (Tettamanti – Talini 2003: 41), perché, dopo il titolo minaccioso e il suggerimento del lessico del questuante, lo studente avrà ben poco da immaginare: è già stata costruita la presunta identità culturale della donna ritratta in foto, attraverso un procedimento di banale semplificazione e generalizzazione che prelude ad una pericolosa stigmatizzazione degli “zingari”.
E, infatti, non stupisce ma indigna che, alla pagina seguente, nel  rispetto delle regole che prescrivono la costruzione di una vera unità didattica, sia esigenza primaria dare agli apprendenti la seguente consegna: “La zingara ha fatto degli errori. Aiutala e correggi[5] il suo cartello”; mentre non è importante per le autrici il rispetto verso il soggetto (o i soggetti, “gli zingari”, appunto, come è indicato nell’area tematica dell’indice) e neppure prioritario il rischio di presentare una identità troppo diversa, inferiorizzata e quindi giudicata anche in termini di valori (vd. Russo Spena 2009: 39). 
Ci siamo chiesti se le autrici Vittoria Tettamanti e Stefania Talini abbiano scelto deliberatamente di costruire un testo intriso di pregiudizi, secondo un uso manipolatorio delle parole e della sintassi ben radicato anche nel linguaggio giornalistico, o se ne siano vittime inconsapevoli, al pari di tutti quegli italiani che, banalmente, esprimono opinioni irresponsabili, non supportate da alcuna riflessione scientifica, ma non per questo meno colpevoli e razziste (vd. Naletto [a cura di] 2009).
La risposta arriva immediatamente dopo, nelle seguenti attività:

Completa questo articolo di cronaca inserendo le parole date qui di seguito.
turbata ·  rubato ·  zingara ·  fuggire ·  aggredita ·  arrestata

Ieri pomeriggio una ragazzina di 14 anni è stata ................................................................................
sull'autobus n. 17 mentre tornava da scuola. Una .............................................................................
l’ha minacciata con un coltello e le ha ......................................................................... il portafoglio
e il cellulare.
La nomade è riuscita a ............................................................................ ma fortunatamente è stata
fermata da dei passanti ed è stata ................................................................................. dai poliziotti.
La giovane studentessa è rimasta molto ............................................................................ da questa
brutta esperienza.

Rileggi l’articolo e completa.
Oltre a zingara nell’articolo hanno usato ...........................................................................................
Invece di scappare nell’articolo hanno usato ....................................................................................
Invece di sconvolta, scioccata nell’articolo hanno usato ............................................... (Tettamanti – Talini 2003: 42)[6].

Il sospetto che non si tratti di un vero “articolo di cronaca”, come recita la consegna, ma di un’attività costruita ad hoc dalle autrici, è rafforzato dalla mancata citazione della fonte. Vorremmo, a questo punto, proporre alcune riflessioni:

1. Qual è il nesso tra una foto che mostra una “zingara” con un cartello in mano, descritta come colei “che chiede l’elemosina” e il testo che parla di una “zingara” e/o “nomade” che deruba e aggredisce una quattordicenne, provocandole uno shock?
Il meccanismo proviene dal mondo dell’informazione ed è ben spiegato da Annamaria Rivera:
Il dispositivo mediatico che permette l’orchestrazione di campagne allarmistiche è ben noto. Si selezionano dalla cronaca e si deformano fatti, anche minori o minimi, che possano presentarsi come una catena di casi simili, catena a sua volta tematizzabile come fenomeno, piaga o emergenza: da crimini gravi, fino a pratiche sociali marginali come i mestieri di strada e la mendicità. In tal modo, si suggerisce l’idea di un’emergenza che minaccia la nostra sicurezza e si addita come responsabile questa o quella categoria di “estranei” (Rivera 2009:  14).
È evidente che le autrici non si sono premurate di fare quella “piccola ricerca su chi sono gli zingari”, come dichiarato nei “suggerimenti utili per l’insegnante” proposta agli studenti “il giorno prima di usare la foto in classe” (Tettamanti – Talini 2003: 79). Avrebbero potuto scoprire che il termine “zingari”, una categoria generica e poco definibile, indica “una varietà abbastanza composita di persone, con diversità culturali anche notevoli” (Piasere 2004: 3); è un “termine utilizzato dai non zingari con una coloritura fortemente stigmatizzante e discriminatoria” (ibidem: 15); ed, inoltre, che  “il quadretto della famiglia zingara nomade [è una] nostra immagine-schema prototipica, poiché […] più dell’80% dei cosiddetti zingari in Europa sono da tempo sedentari” (ibidem :14).
“Zingari” e “nomadi”, infatti, entrambi eteronimi, vengono spesso utilizzati impropriamente per definire individui o gruppi di diverse culture, che frequentemente tendono ad auto-identificarsi come rom, sinti, kalé, romanichals, monouche e altri ancora. A livello internazionale, il termine più usato per riferirsi alla globalità dei gruppi è Roma. In Italia, molti Sinti e Rom rifiutano i termini “zingari” e “nomadi”, proprio perché contengono un significato estremamente negativo che si lega al pregiudizio, all’esclusione e all’emarginazione. È preferibile, quindi, utilizzare gli etnonimi Rom o Sinti, che sono entrambi autonimi, ossia termini attraverso cui gli stessi membri di un gruppo si autodefiniscono.

2. Perché si è scelto di presentare un testo che parla dei Roma in termini criminali? Seguendo la  logica di costruzione identitaria delle autrici, perché non parlare, ad esempio, della figura “letteraria romanticizzata dello zingaro tutto passione e libertà?” (Piasere 2004: 4). Avremmo notato, comunque, la semplificazione e la banalità cui si presta troppo spesso la parola intercultura[7], ma (forse) ci saremmo limitati a non comprare questo testo. Invece foto parlanti si spinge oltre: aderisce alla “logica del discorso razzista” che “funziona creando presunte identità collettive (razze, etnie, culture) caratterizzate (o segnate) da presunte caratteristiche morali e comportamentali” (Burgio 2009: 22).
Per quanto concerne l’ultima parte dell’unità didattica, “idee a confronto”, Massimo Maggini, riprendendo gli intenti delle autrici nella sua recensione al libro, spiega:  
In questa fase si esce dall'ambito circoscritto della foto e si cerca di avviare una discussione e un confronto in classe su un piano interculturale. Si fa infatti riferimento alla cultura d'origine degli studenti [statunitensi], alla loro esperienza di vita, ai loro valori di riferimento (Maggini 2003).
Vorremmo ricordare che il prefisso inter, anteposto alla parola cultura, presuppone la presenza di più interlocutori con punti di vista polivalenti, in contesti ove non si verifichi una “rigida identificazione fra individui e cultura d’appartenza” (Rivera 2007a: 77). In questo caso, riusciamo a rintracciare solo un interlocutore: gli studenti statunitensi con i “loro valori di riferimento” e la “loro cultura d’origine”, anch’essi, dunque, tipizzati dall’approccio che pervade il libro. Non è certo la prima volta che riscontriamo un utilizzo inappropriato del termine cultura da parte di glottodidatti, che rivela una non conoscenza degli studi scientifici sul tema.  
Quella di cultura, infatti, è attualmente fra gli specialisti una categoria alquanto in declino […] Oggi sempre di più gli antropologi prendono atto che, avendo la loro stessa disciplina contribuito – per lo più involontariamente – alla deriva che ha condotto a quella concezione che considera le culture quasi come “cose”, come entità empiriche, separate e statiche, compatte e organiche, la perniciosa propensione a essenzializzarle o reificarle si è diffusa ben oltre i confini disciplinari e i dibattiti accademici (Rivera 2007a: 76).
Ed ancora:
La divisione dell'umanità in isole culturali separate, autosufficienti e non comunicanti è l'esito cui approda quel relativismo radicale di cui tende oggi ad appropriarsi una parte del discorso neorazzista (ibidem: 94-95).
Ma torniamo a foto parlanti ed esaminiamone l’ultima sezione, “idee a confronto”. Il titolo rivela, da subito, l’intento programmatico di condizionare il dibattito tra gli studenti, a dispetto della “libertà di discussione” che dovrebbe svolgersi sul tema: “Gli zingari causano solo problemi e vanno emarginati? Tu da che parte stai?”. Riportiamo, qui di seguito, il testo dell’attività:

Leggi attentamente le affermazioni.

·               Gli zingari sono una delle cause dell’aumento della microcriminaltà.
·               Gli zingari non devono vivere chiedendo l’elemosina, ma lavorare come fanno tutti.
·               Gli zingari sono un costo per la comunità e non dovrebbero avere il permesso di vivere in Italia.
·               Gli zingari sfruttano le donne e i bambini quindi sono un esempio negativo.
·               È giusto che gli zingari difendano le proprie tradizioni e il proprio modo di vivere.
·               Hanno usanze molto diverse e “contaminano” la nostra cultura.
·               La nostra società sta diventando sempre più multirazziale perciò bisogna educare tutti alla tolleranza.
·               Con l’apertura alle altre culture anche la nostra si arricchisce.

Cerca nella classe gli studenti che hanno le tue stesse opinioni e formate dei gruppi. Avete 10/15 minuti di tempo per discutere insieme ed elaborare una serie di pro e contro.
Ogni gruppo deve presentare e sostenere il proprio punto di vista.
La discussione è libera. Sedetevi in cerchio e intervenite liberamente. Se necessario, potete chiedere aiuto all’insegnante  (Tettamanti – Talini 2003: 43).

Da che parte dovrebbero stare gli studenti, secondo le autrici?
Già la domanda iniziale non lascia spazio a equivoci: ne esamineremo il razzismo che la pervade attraverso la pragmalinguistica, scienza che dovrebbe essere nota ai glottodidatti. La frase “gli zingari causano solo problemi e vanno emarginati?” (al di là delle scelte lessicali infelici “causare solo problemi”/ “emarginare”) è una coordinata copulativa, in cui la congiunzione e indica una successione causale (vd. Andorno 2003: 123-4), mentre non è espressa alcuna argomentazione alternativa o con valore opposto (esempio:  Gli zingari sono un problema? O noi siamo un problema?).
È da rilevare che l’uso del verbo andare, nella frase “gli zingari causano solo problemi e vanno emarginati”, aggiunge al valore passivo quello modale di dovere:  infatti diversa (per quanto discutibile) sarebbe stata una frase passiva del tipo gli zingari causano solo problemi e sono emarginati?, se confrontata con quella dell’attività “gli zingari causano solo problemi e vanno emarginati?”, che, in forma attiva, diventano, rispettivamente, noi emarginiamo gli zingari? e noi dobbiamo emarginare gli zingari?.
È rilevante, inoltre, la collocazione dell’agente in sottofondo in modo  –  si noti –  ambiguo[8]: chi è l’agente che deve emarginare gli zingari? Noi? Noi chi? Gli italiani? Gli italiani e gli studenti stranieri? Quali stranieri? Riscontriamo qui quella che è stata definita “una frontiera innalzata fra una pretenziosa identità delle nazioni occidentali e le popolazioni e le culture altre, considerate inassimimilabili per essenza o per natura […]” (Gallissot 2007: 122). L’agente inespresso nella domanda sembra, infatti, accomunarci tutti nell’ansia sicuritaria, che marca la differenza fra un noi (le persone culturalmente oneste) e un loro (gli zingari culturalmente criminali).
Quale può essere, dunque, la funzione pragmatica di questo enunciato?

Giuseppe Faso parla di “strategia comunicativa discriminatoria”, utilizzata anche in certo linguaggio giornalistico a proposito di stranieri:
Si tratta di scelte tutt’altro che innocenti. Come tutt’altro che innocenti sono le strategie sottese non solo alla scelta del lessico, talora denigratorio fino alla disumanizzazione, con cui si parla di immigrati, ma alla posizione delle parole, ai giri sintattici alle forzature semantiche e agli slittamenti di senso, per non parlare delle manipolazoni dei dati statistici e dei sondaggi d’opinione (Faso 2009: 29-30).

L’intento discriminatorio si manifesta anche nell’uso di termini inappropriati, quali “multirazziale”. Da tempo ormai la nozione di razza è nettamente rifiutata dagli antropologi, in quanto ritenuta scientificamente infondata; il suo uso è, inoltre, spiegato con il persistere di atteggiamenti razzisti (vd. Fabietti 2004: 43-53; Rivera 2007b: 153-187). La critica al termine multirazziale si trova in Annamaria Rivera:
La vulgata corrente – che attraversa, soprattutto tramite i mass media, gli ambienti più vari e ispira divulgatori dell’ “interculturalità” e teorici del differenzialismo, neorazzisti e sostenitori della società “multietnica” – […] recupera scorie  che le scienze sociali, e soprattutto l’antropologia, hanno ormai abbandonato da tempo. […]. Fra queste scorie v’è anche l’attardamento – per lo più spontaneo e inconsapevole – sul paradigma evoluzionistico-lineare che, dismesso dall’antropologia da almeno mezzo secolo, torna in voga per quel tipico movimento di discesa verso il basso che subiscono spesso le teorie scientifiche. [Queste scorie] abitano tuttora l’immaginario collettivo e perfino le menti di non pochi sostenitori della società “multietnica” e “multiculturale”. [e in nota] I due aggettivi vengono spesso usati casualmente, come fossero intercambiabili, e talvolta sostituiti perfino da “multirazziale” (Rivera 2007a: 76-77).
Infine, è da notarsi la forte discrepanza tra il vocabolario di base utilizzato per le attività iniziali (Tettamanti – Talini 2003: 41) e le competenze specifiche di tipo avanzato richieste per quelle finali (ibidem: 43), benché foto parlanti sia stato pensato per apprendenti di un livello specifico, ossia quello intermedio:

a. Competenze lessicali.
Mentre, nelle prime attività, il testo fornisce allo studente parole come bambino, bicchiere, strada, camminare, guardare etc., “per attivare il lessico”, nelle ultime compaiono parole non presenti nel vocabolario di base come “microcriminilità”, “contaminano”, “multirazziale” etc.

b. Competenze morfosintattiche.
Le attività finali presentano costrutti acquisiti ai livelli più alti dell’apprendimento linguistico che rendono quanto affermato meno scorrevole e comprensibile per degli apprendenti di italiano come L2: subordinazioni con congiuntivo[9], frasi passive[10], proposizioni subordinate implicite con gerundio[11], nominalizzazioni[12] etc.

c. Abilità di argomentare.
L’argomentazione comincia a comparire ai livelli di competenza intermedi (B2) del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue, ma si sviluppa pienamente ai livelli avanzati (C1-C2).

La critica all’incoerenza del testo, nella scelta del materiale linguistico da proporre all’apprendente, non vuole essere squisitamente tecnica, bensì avanzare il sospetto che i punti di “idee a confronto”, così presentati, contribuiscano alla piena adesione degli apprendenti all’unica “parte” ampiamente illustrata nelle affermazioni dopo il “Tu da che parte stai?”. Con quale lessico (e strutture linguistiche), infatti, lo studente può argomentare i pro e i contro della discussione? Unicamente, e non liberamente,  con quello proposto dalle autrici.
La letteratura scientifica, che permette di decostruire affermazioni colme di pregiudizi come quelle riscontrate in foto parlanti a proposito dei Rom, è piuttosto ampia. Per motivi di spazio, sono indicati in bibliografia e nella sezione Approfondimenti alcuni testi di riferimento.
In questa sede, abbiamo voluto segnalare un caso paradossale: un testo di italiano L2 destinato ad un contesto classe di apprendenti stranieri, in cui lingua e contenuti, presentati con la denominazione pretenziosa di “fare intercultura” (Maggini 2003) o di scoperta di un “nuovo modo di pensare e di agire” (Mollica 2003: 5), non solo se ne discostano interamente, ma rappresentano un esempio negativo di materiale didattico, il cui utilizzo in classe può corroborare una serie di atteggiamenti preconcetti.
Non solo, ci preoccupano la diffusione acritica e l’accoglienza entusiasta di un testo come foto parlanti: infatti, nostante non vi sia un legame strettamente consequenziale tra la costruzione del pregiudizio e l’atto razzista quotidiano, siamo convinti che le parole (specie se divulgate) non siano affatto neutrali e possiedano la capacità di reiterare idee, provocare stati d’animo e, nel peggiore dei casi, addirittura azioni (vd. Russo Spena 2009: 37).


3.                  Conclusioni

In “Cronache di ordinario razzismo”, Paola Andrisani e Grazia Naletto registrano un preoccupante incremento, dal 2007 al 2009, di aggressioni verbali, provvedimenti e violenze fisiche di matrice razzista da parte di esponenti di istituzioni italiane e cittadini italiani nei confronti di cittadini immigrati,  soprattutto Rom e Sinti, tra cui molti con cittadinanza italiana (vd. Andrisani – Naletto 2009: 146-150)[13].
La nostra critica a Foto parlanti ha evidenziato la presenza di certe forme di xenofobia popolare e di stereotipi razzisti anche in pubblicazioni apparentemente insospettabili, come i testi di italiano per stranieri, diffusi e utilizzati in istituzioni pubbliche e private. Il nostro intervento ha, inoltre, voluto esprimere profonda preoccupazione per l’impiego di un linguaggio denigratorio, purtroppo parte di una ordinarietà, nei confronti della quale siamo convinti sia necessario reagire perché “la battaglia contro il razzismo passa anche per il riconoscimento e il rifiuto del linguaggio che lo articola e lo legittima” (Burgio 2009: 23).




* Desideriamo ringraziare Eva Rizzin e Gilberto Scali per i preziosi consigli in fase di scrittura dell'articolo. Vogliamo, inoltre, ringraziare Marina Veronesi e Giuseppe Faso per l'amicizia, il supporto e i copiosi consigli di cui abbiamo la fortuna di beneficiare.

[1] Abbreviazione di “lingua seconda”, ossia qualunque lingua acquisita dai parlanti dopo la lingua madre (altrimenti detta L1).

[2] Dal testo apprendiamo che la foto è stata scattata da una studentessa del corso di fotografia della Syracuse University in Florence.

[3] Il Consiglio d’Europa ha elaborato un documento denominato Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (Q.C.E.R.), altrimenti conosciuto come Framework. Apparso in versione elettronica negli anni 1996-1997, è stato successivamente rielaborato, integrato e pubblicato in versione cartacea nel 2001 in lingua inglese e francese. La prima versione tradotta in italiano è del 2002. Il documento nasce dall’esigenza di promuovere all’interno della Comunità Europea la conoscenza delle lingue straniere e, al contempo, uniformare la preparazione linguistica dei cittadini europei. Altro obiettivo del documento è quello di conformare i livelli di competenza linguistico-comunicativa raggiunti in ambito scolastico. In riferimento all’espressione “contesto d’uso” che in questa sede si è scelto di utilizzare, il Framework utilizza il termine “dominio”, da intendersi come ambito della vita sociale (personale, pubblico, professionale, educativo), in cui l’uso della lingua è legato ad un determinato contesto (Q.C.E.R.: 57-61).

[4] Nella recensione al libro, Massimo Maggini afferma infatti che “si comincia dalla sezione per ‘attivare il lessico’ dove correttamente si propone un itinerario lessicale contestualizzato. Non la parola isolata, avulsa dai suoi possibili significati d’uso, ma le parole legate a precisi campi semantici, a determinati domini se vogliamo utilizzare un termine impiegato dal Quadro comune europeo di riferimento per le lingue” (Maggini 2003).

[5] Vengono in mente certe pagine di noti manuali di didattica dell’italiano L2: 
Si sviluppa così un filone di ricerca, l’analisi degli errori, che attraverso lo studio delle forme scorrette, presenti nelle produzioni degli apprendenti, tenta di risalire al tipo di ipotesi formulate allo scopo di individuare i processi di apprendimento utilizzati e di descrivere le caratteristiche della competenza parziale della L2 (Diadori – Palermo – Troncarelli 2009: 96);
ed ancora:
L’evoluzione del continuum interlinguistico può arrestarsi ed ipotesi scorrette continuano a governare l’esecuzione, indipendentemente dall’esposizione dell’apprendente ai dati linguistici (ibidem: 96).
Il termine “scorretto”, utilizzato per le caratteristiche delle varietà di apprendimento, è da considerarsi inadeguato per due motivi. Dal punto di vista linguistico-acquisizionale: quello che viene frequentemente definito come “scorretto” nelle varietà d’apprendimento di italiano L2 compare in altri sistemi linguistici adulti, spesso persino standard; da qui l’inadeguatezza dell’uso del termine e la nostra propensione verso analisi che tentino una descrizione e, se possibile, una spiegazione delle scelte formali altre (vd. Masciello – Pona 2010). Inoltre, il termine viene usato fuori dal proprio campo semantico: la scorrettezza è cosa morale. Da preferirsi non grammaticale nella lingua obiettivo. Considerazioni affini possono essere fatte anche per l’utilizzo, nella letteratura scientifica di tipo linguistico-acquisizionale e sociolinguistico, del termine semplificazione in riferimento sia alle variètà d’apprendimento sia all’italiano popolare; utilizzo che, anche quando usato col significato tecnico di “mancata elaborazione di un tratto”, presenta la medesima duplice erroneità (per un’ampia trattazione del punto in questione si rimanda a Pona 2009).

[6] Nella sezione "chiave degli esercizi", le autrici ne danno le soluzioni:
Ieri pomeriggio una ragazzina di 14 anni è stata aggredita sull'autobus n. 17 mentre tornava da scuola. Una zingara l’ha minacciata con un coltello e le ha rubato il portafoglio e il cellulare. La nomade è riuscita a fuggire ma fortunatamente è stata fermata da dei passanti ed è stata arrestata dai poliziotti. La giovane studentessa è rimasta molto turbata da questa brutta esperienza.

Invece di zingara nell’articolo hanno usato nomade.
Invece di scappare nell’articolo hanno usato fuggire.
Invece di sconvolta, scioccata nell’articolo hanno usato turbata (Tettamanti – Talini 2003: 85).
[7] Si vedano Caon – Rutka (2004) e Ferencich – Torresan (2005), tra gli altri, come esempi di noti materiali didattici di italiano L2 nei quali sinonimi di intercultura sembrano essere, rispettivamente, o giochi “tra cooperazione e competizione”, in cui la componente competitiva avrebbe una funzione pedagogica per la maturazione e lo sviluppo dell’apprendente, o la reiterazione di stereotipi tramite un tipo di didattica ludica che, semplificando, propone un concetto di cultura fisso e immutabile.

[8] “L’uso della forma passiva con agente espresso serve a portare in ‘primo piano’ l’azione [emarginare, nel caso sotto discussione], lasciando in secondo l’attore; in quelle con agente inespresso [noi, come sottointeso nel testo] serve a occultare del tutto l’attore, ed è quindi una risorsa importante dal punto di vista pragmatico” (Simone 1993: 85).

[9] “È giusto che gli zingari difendano [i neretti sono nostri] le proprie le proprie tradizioni [...]” (Tettamanti – Talini 2003: 43).

[10] “gli zingari causano solo problemi e vanno emarginati [i neretti sono nostri]?” (ibidem).

[11] “Gli zingari non devono vivere chiedendo l’elemosina [i neretti sono nostri]” (ibidem).

[12] “Gli zingari sono una delle cause dell’aumento della microcriminalità [i neretti sono nostri]” (ibidem); “Con l’apertura alle altre culture [i neretti sono nostri] anche la nostra si arricchisce” (ibidem).

[13] Si veda anche il Rapporto del 2009 di Thomas Hammarberg, Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, in cui si esprime preoccupazione per il razzismo e l’intolleranza diffusi in Italia nei confronti di Rom e Sinti, raccomandando al Governo Italiano politiche e pratiche che deleggittimino atti discriminatori.


Bibliografia
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Campagna antirazzista contro i pregiudizi verso Rom e Sinti
 

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