martedì 26 ottobre 2010

Newsletter n.37/2010 - Libri contro l'antisemitismo

Un pacco di libri (involucro blu, fiocco bianco), una lunga chiacchierata e una stretta di mano. Così se l’è cavata Luca I., 19 anni, autore di una “bravata” che poteva avere delle conseguenze molto più serie di quelle che il giovane avrebbe mai potuto immaginare, quando nella primavera scorsa aveva urlato “ebrei di m…” all’indirizzo di alcuni passanti che, kippot in testa, si dirigevano verso la propria sinagoga. Scattata la denuncia grazie al numero di targa, Luca si è trovato coinvolto in un procedimento penale. Così ha presentato in Procura una lettera di scuse indirizzata alla Comunità ebraica, in cui ha raccontato il suo pentimento e la sua vergogna per un gesto stupido e superficiale. Scuse accettate dal presidente della Comunità Roberto Jarach, ma a una condizione.
Non il risarcimento in denaro previsto in casi analoghi, ma la ricerca della conoscenza, principio cardine dell’ebraismo. Dunque chiuso il procedimento penale senza conseguenze, Luca si è recato in Comunità insieme al suo avvocato Giambattista Colombo, e ha ascoltato con attenzione le parole di Jarach, per cominciare ad apprendere quello che prima ignorava sul popolo ebraico e
sull’antisemitismo. “Devi capire che noi siamo costretti a fronteggiare molti episodi di antisemitismo, non solo casi isolati purtroppo, ma anche iniziative organizzate – ha spiegato il presidente –. Non è una questione di ipersensibilità, il popolo ebraico nella storia ha trovato troppe volte porte chiuse e stereotipi insormontabili sulla strada della propria aspirazione all’uguaglianza. Siamo persone assolutamente normali, e ognuno di noi ha pregi e difetti propri. Perché nel momento stesso in cui identifichi un gruppo attribuendogli delle caratteristiche unitarie, allora formuli un pensiero razzista”.
“Sono davvero dispiaciuto di quello che ho fatto, e più di tutto mi vergogno per la mia ignoranza” ha ribadito il diciannovenne. Proprio all’ignoranza, sulla scia della grande importanza data alla cultura nella tradizione ebraica, il presidente Jarach tiene a dare rimedio. “Una cosa ti auguro ora che questa vicenda si conclude: che tu possa diventare uno studioso, non solo di ebraismo e antisemitismo, ma dei problemi delle minoranze e del razzismo in generale, perché è ciò di cui il nostro paese più ha bisogno”. E sicuramente un buon punto di partenza sarà quel pacco blu che dalla scrivania è passato nelle mani di Luca. Quattro volumi appositamente selezionati per lui: L’ebraismo spiegato ai miei amici di Philippe Haddad, Ebrei in Italia 1870 -1938 di Maurizio Molinari, Ebrei in Italia tra persecuzione fascista e reintegrazione post bellica di Ilaria Pavan e Guri Schwarz, tutti pubblicati dalla Giuntina, e Breve storia degli ebrei e dell’antisemitismo di Eugenio Saracini, edito da Mondadori. La scelta di rispondere con quattro libri al più ripetuto ritornello antisemita si inquadra nel dibattito che si è sviluppato sulla stampa ebraica e nazionale a proposito dell’opportunità di introdurre una legge che punisca penalmente il negazionismo. Ipotesi commentata dal presidente della Comunità di Milano a margine dell’incontro con Luca. “Non penso che lo strumento migliore per combattere il negazionismo possa essere l’intervento legislativo. Secondo la mia visione delle cose, una legge del genere non farebbe che fornire pretesti per contro-attacchi in nome di una pretesa libertà di espressione – ha spiegato Jarach –. Il mio auspicio è invece che le istituzioni si impegnino per arginare le situazioni patologiche prima ancora che si verifichino in concreto. Su questo non dobbiamo transigere. Le università, gli enti pubblici non possono accettare di patrocinare gente come Moffa. Penso che il nostro paese e la nostra società siano assolutamente in grado di sviluppare questi anticorpi senza ricorrere a una legge”.

Rossella Tercatin
L’Unione informa del 22 ottobre 2010

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martedì 19 ottobre 2010

Newsletter n.36/2010 - Cronache da Adro: sei persone senza autore

Jafrani, Hutaf, Maghri, donne magrebine, Sofia pakistana, Awa e Omar, entrambi senegalesi: sei persone fiere e coraggiose che hanno molto in comune tra di loro. Soprattutto molte sfortune: quelle di essere poveri, di avere dovuto lasciare, spesso fuggendo, il proprio paese e di avere comunque messo al mondo almeno tre figli. Ma, principalmente, la sventura maggiore sembra essere quella di abitare ad Adro, Franciacorta, provincia di Brescia. Un luogo dal punto di vista urbanistico e naturale molto bello, sito nel cuore di una delle zone più ricche e produttive, in senso agricolo e industriale, del mondo. Quella bagnata dai fiumi lombardi, a cavallo tra le terre bresciane e quelle bergamasche.
Una delle zone, però, dove la povertà e l’indigenza sono considerate di per sé una colpa grave, una inadeguatezza da nascondere. Più che per vergogna, proprio per senso di pulizia. E quindi, quando queste caratteristiche negative sono non autoctone e non celabili sotto il tappeto di casa, quando sono proprie cioè di abitanti nuovi, deboli di diritti e che vengono da lontano, sono viste come problemi gravi, gravissimi, al limite del debordare nei problemi di sicurezza.
La giunta comunale di questo paese, però, pare stia sperimentando un sistema nuovo, diverso, che trasforma, attraverso una non nascosta ‘inospitalità’, il fenomeno dell’indigenza immigratoria in una macchia tutto sommato lavabile. Essa, forte di un appoggio popolare molto consistente e in costante aumento, ha infatti deciso, in modo trasparente e deliberato, di rendere praticamente impossibile la vita a questi ‘ospiti’ molto poco desiderati.
Ogni Comune, si sa, è dotato di un servizio di assistenza sociale che ha, ovviamente, il compito di
occuparsi di situazioni, singole o famigliari, di disagio dei residenti: vuoi per motivi economici, vuoi per motivi di salute, per anzianità o per troppa esposizione. Adro ha già tentato una volta di escludere da questi molto relativi, ma comunque concreti, benefici (come il contributo economico per l’affitto) i residenti ‘non provenienti dalla comunità europea’, con l’evidente già citato tentativo di rendere il proprio territorio comunale poco attraente nei confronti degli extracomunitari. Ma era stato stoppato da un esposto della locale CGIL che ha, nel giugno di quest’anno, convinto il giudice ad obbligare il sindaco Lancini a togliere dal bando le clausole discriminatorie e a procrastinare i termini dello stesso.
Ora, la storia si ripete in modo ancora più eclatante e odioso: un gruppo di sei Comuni della zona, il più grosso dei quali è Palazzolo sull’Oglio e di cui fa parte anche Adro – tutti retti tra l’altro da giunte che comprendono la Lega – ha ricevuto dalla Regione una somma da trasformare in voucher a favore di famiglie indigenti e con almeno tre figli a carico. Basso reddito e stato di famiglia ricco: non è necessario avere studiato sociologia per poter individuare soprattutto nei nuclei extracomunitari i destinatari dell’iniziativa. Cosa fa il Comune in questione, a differenza degli altri cinque? Non aderisce, adducendo come motivazione il fatto di non avere più fondi per integrare, come da prassi, quelli regionali. Ragione che non può che apparire pretestuosa oltre che in contraddizione con altre, onerose, iniziative municipali. Ma tant’è. Il Sindaco, in questo caso, non deve neppure ricorrere a ragioni risibili come quelle legate alla presunta tradizione locale dei simboli ‘leghisti’ usati con ossessiva profusione nell’ormai famoso complesso scolastico: egli sa di avere la stragrande maggioranza della popolazione di Adro, Franciacorta, d’accordo con lui. Sembra di sentire, perfino, le sue parole con l’inconfondibile cadenza alla Castelli o alla Calderoli: “Noi non abbiamo soldi per questa gente. E se non gli sta bene stare qui, vadano pure da un’altra parte: a Capriolo o a Erbusco, per esempio, dove hanno evidentemente soldi da dargli. Noi, di certo, se vogliono andare non li rincorreremo”.
Mercoledì scorso, sei persone fiere e coraggiose, cinque madri e un padre, sei personaggi senza autore, hanno comunque presentato regolare domanda in comune ad Adro per ottenere quel misero aiuto, quella dignitosa banconota povera di potere d’acquisto, ma ricca di diritto. L’hanno presentata a vuoto, non essendoci in municipio il bando e nemmeno i modelli relativi; l’hanno presentata a perdere, in questo paese pilota per ‘essere padroni in casa nostra’, in questo luogo ricco e pulito, cattolico al punto da cementare i crocifissi alle pareti delle aule scolastiche, tradizionale al punto da mettere la carne di maiale, sempre!, nella mensa dei bambini. Tanto per vedere l’effetto che fa….
L’impressione è insomma che dietro l’abbaglio del sole delle alpi si consumino tante normali ingiustizie e discriminazioni, mute e quotidiane.

Giuseppe Raspanti

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martedì 12 ottobre 2010

Newsletter n.35/2010 - Rifiuti

Li conoscono tutti come i 'giardini di Viola', per via della storica gelateria che si trova all'angolo con via delle Pescherie, davanti al campanile solitario di san Domenico. O anche delle 'badanti', perché al sabato pomeriggio o alla domenica, le panchine dell'area verde che fiancheggia la passeggiata lungo il Rio diventano luogo di ritrovo delle donne venute in Italia da paesi come Ucraina e Moldavia per trovare lavoro come assistenti per gli anziani.
Anche ieri pomeriggio erano lì, con i loro sacchettini dei supermercati usati all'occorrenza anche per riporre i resti dei pasti consumati all'aperto nelle giornate di sole. Ieri mattina era tutto pulito. Nel pomeriggio c'erano in giro diverse cartacce, soprattutto sul retro del campanile. [...] Ma Chizzini non si ferma qui. «Il problema è che le panchine vengono usate come luogo di bivacco - argomenta - è una questione di maleducazione. I regolamenti comunali vanno rispettati: chi sporca andrebbe sanzionato»

Lungorio, cartacce e rifiuti nelle aiuole dove crescono le rose
(Gazzetta di Mantova, 11 ottobre 2010)

Sabato scorso, anch’io guarda caso ho pensato ai rifiuti sul Lungorio, durante il mercato dei contadini, quando tutta Mantova vi si riversa per comprare cibi genuini, frutta e verdura fresca, formaggi locali e carne biologica.
Ho pensato, vedendo le carte e i rifiuti per terra, “chissà se anche queste cartacce, questi volantini pubblicitari, residui di ortaggi, saranno addebitati alle persone che più frequentano questi giardini, cioè le donne che assistono persone anziane o disabili, che il sabato pomeriggio o la domenica hanno delle ore libere da trascorrere fuori dal posto di lavoro, che è anche la loro unica abitazione, dove perciò è meglio non rimanere, altrimenti sarebbe come per me restare a dormire in ufficio”.
Ovviamente sono loro le prime sospettate di qualunque cosa riguardi i giardini, qualunque cosa ma di spiacevole, beninteso… Se dovesse succedere un miracolo, sicuramente sarà accreditato ad altri.
I rifiuti dei “Giardini di Viola”: annoso problema; i giardini stessi sono un annoso problema per i mantovani. Qualcuno dice addirittura che ha paura ad attraversali, infestati come sono di gente straniera e perciò pericolosa. Qualcun altro si chiede a che servono queste graziose coperture fiorite tra le panchine se poi a bivaccarci sopra vanno solo le badanti. Ovviamente spreco di denaro pubblico. Anzi, anche i “Giardini di Viola” sono uno spreco di spazio cittadino. Spazio che ormai ospita solo rifiuti di vario genere, gastronomico, pubblicitario, umano. Rifiuti umani… Rimango sempre più impietrita da quanto leggo e sento. Penso che dovrei lasciarmi attraversare da orecchio a orecchio e dimenticarmene. Ma perché poi? Per pensare a cos’altro? Dovrei non sentire, non vedere, non pensare.
I rifiuti di cui, sulla Gazzetta di ieri, parlava l’assessore (di cui il giornalista puntualizza l’appartenenza politica – e questa può essere una chiave di lettura) io li ho visti, li ho visti sabato, e sono stati lasciati lì da noi benestanti clienti del fiorente mercato contadino. Le “badanti” badano bene a non alimentare gli spiacevoli luoghi comuni che le investono, che le travolgono, che le uccidono nell’anima, dopo che già, talvolta, sono state uccise nella dignità dai loro “padroni” a causa delle richieste assurde di cui spesso sono destinatarie e alle quali devono comunque dare una risposta. Perché se perdono il lavoro, perdono l’identità. Cioè tutto.

Lucia Papaleo

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martedì 5 ottobre 2010

Newsletter n.34/2010 - Omofobia e lodevoli intenzioni

Nella sera di domenica 19 settembre alla festa della birra di Pignataro, in provincia di Frosinone, una coppia gay italo-inglese è stata avvicinata da un gruppo di uomini e selvaggiamente picchiata perché si stava baciando. Esattamente tre giorni dopo a Ragusa un altro caso di omofobia, l'ennesimo...: un giovane gay viene vessato e umiliato dal branco con un secchio di urina. E' con questa frequenza e questa rabbia che la violenza omofoba si riproduce, propagando i suoi tentacoli dal nord al sud del Paese. E mentre le associazioni omosessuali da tempo gridano all'emergenza nazionale, in Italia nessuna norma, ad oggi, è prevista nell'ordinamento a tutela delle persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. A distanza di quasi un anno ormai dall'affossamento della proposta di legge presentata dall' on. Concia, il dibattito politico su questo tema stenta a riaccendersi, nonostante due nuove proposte siano in discussione alla Camera proprio in queste settimane. Il timore di urtare la sensibilità delle gerarchie vaticane, e il veto dichiarato della Lega, che vede in un provvedimento a contrasto dell'omofobia e la transfobia il tentativo di “piantare una bandierina” per far tornare un domani alla ribalta altre questioni come il riconoscimento delle coppie di fatto, rischiano di trasformare un atto di civiltà in un'impresa titanica. E di questa condotta irresponsabile continueranno a pagare il prezzo persone innocenti e incapaci di comprendere le ragioni di tanto odio. Davvero paradossale se si pensa a quante energie siano state investite per dare attuazione a un dispositivo discutibile e controverso come il “pacchetto sicurezza”. Davanti a questo bieco ostracismo il nostro impegno e la nostra determinazione si fanno ancora più risoluti per dar voce al bisogno di giustizia che gran parte della società civile reclama. Un bisogno che sarà appagato solo quando il legislatore sarà in grado di offrire un apparato sanzionatorio idoneo ed efficace. L'unico strumento normativo davvero capace di racchiudere in sé queste caratteristiche oggi, è l'estensione della legge Mancino ai reati di omofobia e transfobia.
Se sul piano nazionale la partita è ancora tutta da giocare, a livello locale si colgono dei segnali di apertura che lasciano intravedere qualche nuovo spiraglio. Il 27 maggio scorso il Consiglio Comunale di Mantova ha approvato una delibera di adesione alla Giornata Mondiale per la Lotta all'Omofobia (17 maggio), un gesto che fa onore alla neo-insediata amministrazione capitanata dal Sindaco Sodano. Nel documento si dà inoltre mandato alla Giunta di “promuovere, anche in coordinamento con le associazioni e gli organismi operanti nel settore, iniziative volte a sensibilizzare l'opinione pubblica a una cultura delle differenze e a una condanna della mentalità omofobica, intervenendo, in collaborazione con gli organismi istituzionali di competenza, anche e soprattutto nelle scuole che hanno il dovere di formare i giovani perché contribuiscano a costruire un mondo rispettoso dei diritti di ciascuno...”. Queste sono le premesse, ci aspettiamo ora che alle lodevoli intenzioni seguano i fatti, nel dar concreto sostegno a progetti che vadano nella direzione auspicata, anche e soprattutto attraverso un lavoro sinergico con un'associazione, la nostra, da sei anni in prima linea su questo fronte, perché c'è un bisogno immenso di sporcarsi le mani per fare di Mantova, più di quanto non sia oggi, una città accogliente, inclusiva, rispettosa delle reciproche differenze.

Davide Provenzano
Presidente Arcigay “La Salamandra”

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