mercoledì 4 maggio 2011

Newsletter n.13/2011

“Milano è un caso europeo. Ad Amburgo per 30mila musulmani ci sono 30 moschee”. “Milano ha circa 120mila musulmani che non hanno la possibilità di avere un luogo di culto ufficiale”. La denuncia è di due rappresentanti della comunità musulmana di Milano, Abdel Hamid Shaari, direttore del centro islamico di viale Jenner e Asfa Mahmoud, giordano, presidente della Casa della cultura islamica: Islamici, a Milano già otto mini-moschee (Corriere Milano, 28/4). Le mini-moschee di cui parla l'articolo in realtà non sono altro che semplici centri culturali islamici. Come mai in una metropoli come Milano non ci sono moschee, fatto che ci sembra molto grave? Uno sguardo ai titoli dei giornali di questa settimana forse ci chiarirà le idee: “Suzzara, via il centro islamico” A chiederlo è la Lega: non ha i requisiti per essere ritenuta associazione di volontariato (Voce di Mantova, 3/5). “Altro che una nuova moschea. Niente spazi al terrorismo” (Libero Milano, 28/4). Così l'europarlamentare Magdi Cristiano Allam su Libero. Allam si dice “strabiliato dalla richiesta degli islamici, della Curia e di Pisapia per una grande moschea”. Nei manifesti elettorali di Allam d'altra parte si legge: “mai più una piazza del Duomo occupata dagli islamici che pregano”: Magdi C. Allam urla “Mai più...” per convincere i milanesi (Giornale Milano, 28/4). Le moschee no, i centri culturali no, le piazze no. A questo punto mi sorge una domanda: secondo Magdi C. Allam e gli altri rappresentanti delle istituzioni che la pensano come lui, dove dovrebbero andare le persone di fede islamica per riunirsi e pregare?


Nella Newsletter n.10 avevamo pubblicato la notizia di una circolare del Viminale che vietava l'ingresso dei consiglieri regionali nel CIE di Via Corelli, domandandoci il perché di tale decisione. Purtroppo è del 3 maggio la notizia di una grave protesta degli immigrati trattenuti nel centro: Rivolta nel centro immigrati: materassi a fuoco, sette arresti (Giorno Milano, 3/5). Alcuni immigrati avrebbero divelto i montanti delle finestre e avrebbero iniziato a procurarsi ferite da taglio, secondo quanto riportato dalla Questura. Durante la protesta, la consigliera lombarda di Sinistra Ecologia e Libertà, Chiara Cremonesi, che si trovava in visita con tre esponenti dell'Arci, ha denunciato di essere stata cacciata a forza dalla polizia. “Sia per quanto riguarda gli aspetti gestionali che le modalità di trattamento, nel Cie di via Corelli si calpesta quotidianamente la dignità delle persone che lì si trovano rinchiuse in condizioni sicuramente peggiori di un carcere. Credo che tutto ciò sia inaccettabile, anche alla luce della recente sentenza dell’Ue che ha definito il reato di clandestinità introdotto da Lega e Pdl contrario alle direttive europee in materia”, ha dichiarato nel suo blog.


Infatti, mentre in Italia continuano ad accadere fatti come questo, La Corte europea boccia il reato di clandestinità (Brescia Oggi, 29/4). La Corte di giustizia Ue del Lussemburgo boccia la norma italiana sul reato di clandestinità che prevede la reclusione da uno a quattro anni. “Non è infatti possibile – spiega l'avvocato Madella – prevedere in conseguenza di un reato amministrativo quale l'immigrazione irregolare una condanna, con reclusione, che sia peggiorativa di quanto previsto dalla disciplina europea”: La Bossi-Fini è sorpassata (Voce di Mantova, 30/4). Non la pensa così il Ministro degli Interni Roberto Maroni che, fra l'altro, intende 'superare' anche la decisione della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittimo il potere illimitato dei sindaci di emettere ordinanze. “Ripristineremo l'espulsione diretta dei clandestini. La sentenza della Corte di giustizia europea ha creato un po' di confusione, rendendo di fatto impossibile l'espulsione diretta di chi non ha i documenti in regola [...]”: Ordinanze dei sindaci e clandestini. Il Viminale si ribella alla doppia censura (Giorno Milano, 3/5). Se Maroni ritiene che la Corte di giustizia europea “abbia creato un po' di confusione”, d'altra parte sta anche pensando al superamento della decisione della Corte Costituzionale: “Il potere di ordinanza è stato utilizzato da tutti i sindaci, di destra e di sinistra, adesso dobbiamo ridare loro questo potere e anche andare oltre [...]”: Maroni, vertice sulla sicurezza (Padania, 28/4).


Intanto a Calcinato (Brescia) é stata annullata un'ordinanza che richiedeva ai cittadini stranieri requisiti aggiuntivi (reddito minimo e idoneità alloggiativa) rispetto a quelli richiesti ai cittadini italiani per poter ottenere la residenza, a seguito di un ricorso presentato dalla Fondazione Piccini per i diritti dell'uomo e da ASGI: Stranieri discriminati: ordinanza annullata (Brescia Oggi, 28/4).


Il 30 aprile 2011 il campo rom di Triboniano è stato definitivamente smantellato, anche le ultime 10 famiglie rimaste se ne sono dovute andare: Il Comune svuota il Triboniano via le famiglie, 10 senza alloggio (Repubblica Milano, 30/4). Il Ministro dell'Interno e la Sindaca di Milano esultano e, in una conferenza stampa tenuta per l'occasione, ritornano a parlare di un “modello Milano”, “Modello Milano per i rom” (Corriere Milano, 3/5). Don Virginio Colmegna, della Casa della Carità, parla di vittoria della mediazione sociale, e denuncia l'uso della vicenda per fini elettorali Colmegna: rom, è ora di riflettere (Avvenire Milano,1/3) e Don Colmegna: un'operazione spudoratamente elettorale (Corriere Milano, 3/5). Che dietro la chiusura di Triboniano ci sia una strategia elettorale precisa ce lo rivela anche quest'articolo: Fuori onda di Salvini: “In via Idro i rom restano”. Il leghista ripreso da un ex militante confida: “Se so che lì in ogni caso rimangono, non vado a fare campagna elettorale” (CronacaQui, 4/5). Mentre tutti con sfumature diverse e per differenti motivi nient'affatto solidaristici festeggiano la chiusura di Triboniano, noi di Articolo 3 siamo molto preoccupati delle conseguenze reali che questa vicenda avrà sulle vite delle persone rom. In particolare ci riferiamo alle famiglie rom di Triboniano a cui è stato assegnato un alloggio Aler e che trovano ad attenderli cittadini 'furiosi' organizzati in comitati e spesso aizzati da mass media e forze politiche, il cui modello di convivenza 'civile' emerge drammaticamente in questi articoli: Nomadi nelle case Aler, l'ira degli inquilini (Giorno Milano, 3/5) e E i rom entrano nelle case. Inquilini subito in rivolta (CronacaQui, 3/5) Alcuni inquilini hanno appeso in uno dei condomini Aler volantini che così recitano: “Hanno fatto entrare nelle case a loro assegnate i rom di Triboniano. Lo hanno fatto stanotte di nascosto, trattandoli come ladri. Per lamentele chiamare Salvini, Moratti, Moioli e Maroni”. “I nomadi come vicini non li vuole nessuno”. Al Giambellino monta la protesta dopo l'arrivo dei rom di Triboniano (Dnews Milano, 4/5). In quest'articolo la presidente di un'associazione di inquilini Aler afferma: “Se ce l'impongono saremo costretti a reagire. Altrimenti finirà che avremo le roulotte sotto casa e per difenderci dovremo tirare fuori i coltelli”. Siamo di fronte a segnali di malessere gravi che possono preludere ad eventi drammatici. Dove sono ora i rappresentanti delle istituzioni di destra e di sinistra? Nei palazzi a festeggiare la chiusura del campo? Dove erano prima, quando soffiavano sul fuoco del disprezzo verso le persone di etnia rom, assecondando le peggiori paure e pregiudizi di gruppi sempre più numerosi di cittadini? Sapranno ora governare una convivenza che in passato non solo non hanno preparato (con politiche abitative e culturali adeguate comprendenti il dialogo e la partecipazione ai processi decisionali delle comunità rom), ma che hanno anzi osteggiato con le politiche dei grandi campi ghetto e successivamente con le politiche degli sgomberi forzati?


Infine, vista la situazione estremamente delicata che abbiamo descritto, ci appelliamo alla responsabilità degli organi di stampa, affinché promuovano la convivenza pacifica fra le persone e non articoli o lettere, come questa pubblicata su CronacaQui, nella quale rom e sinti vengono chiamati così: “questi barbari schifosi e puzzolenti che hanno di gran lunga superato persino quei vigliacchi di lanzichenecchi di infausta memoria”: Basta con gli zingari (CronacaQui, 30/4). Inqualificabile!



Elena Cesari




mercoledì 27 aprile 2011

Newsletter n.12/2011

Da mesi ormai, nella stampa milanese, troviamo quotidianamente notizie che mettono in risalto lo sgombero di campi rom. Immancabilmente accanto ad ogni notizia di questo genere viene riportato il commento di Riccardo De Corato, vicesindaco di Milano, il quale orgogliosamente tiene il conto di tutti gli sgomberi effettuati dall'inizio del suo mandato.


In questi interventi il vicesindaco non manca mai di accostare le persone di etnia rom e sinta a problemi di ordine pubblico, accattonaggio e addirittura di intralcio del traffico urbano: questa settimana vedi Maxi sgombero nel weekend. Allontanati quasi 400 nomadi (Giorno Milano, 26/4). Con questa strategia politica, pubblicizzata su tutti i giornali, De Corato contribuisce a diffondere paure e pregiudizi contro rom e sinti nella cittadinanza milanese, oltre che a rendere concretamente un inferno la vita di intere comunità rom e sinte. E' interessante questa settimana mettere a confronto l'interpretazione che della politica degli sgomberi danno rispettivamente Libero Milano e Repubblica Milano: Mister sgomberi sfida la Lega (Libero Milano, 26/4) e Rom, la caccia infinita. De Corato festeggia i cinquecento sgomberi (Repubblica Milano, 27/4). L'articolo di Libero esalta l'approccio del vicesindaco (definito significativamente “il mastino”), elencando le statistiche (di cui ignoriamo le fonti) sulla sicurezza. L'articolo di Repubblica invece instilla il dubbio legittimo che la politica degli sgomberi serva solo a destabilizzare in modo brutale le comunità rom, le quali non spariscono per magia dopo lo sgombero, ma semplicemente si spostano altrove fino a quando un altro sgombero non le farà spostare ancora e ancora (una “caccia infinita”, appunto).


“Cinquecento sgomberi e se ne vantano? C’é poco da vantarsi dei blitz [...]”, così “le mamme di Via Rubattino”, gruppo di mamme i cui figli sono stati a lungo compagni di scuola dei bimbi del campo rom di Via Rubattino, fino a quando non é stato sgomberato. Esse spiegano: “Siamo partiti da questo concetto elementare. I blitz impediscono ai piccoli di stare in classe e non risolvono il problema dei campi abusivi, che naturalmente non piacciono neanche a noi abitanti del quartiere. Lo sgombero è solo uno spreco di soldi e non fa altro che spostare il problema in una zona poco distante: L'aiuto é meglio della forza. Il Comune faccia come noi” (Repubblica Milano, 27/4). Per saperne di più sulle iniziative intraprese da questo gruppo di donne coraggiose e capire in profondità le conseguenze di uno sgombero, vi invitiamo a vedere il breve documentario Seminateci Bene


D’altra parte la strategia degli sgomberi viene adottata dal Comune di Milano anche nei confronti delle persone senza fissa dimora attraverso un servizio di “dissuasione al vagabondaggio”: Pattuglie in missione per le urne. “Via i clochard dalle strade” (Repubblica Milano, 24/4). “Il problema é che non si capisce in base a quale legge, regolamento o ordinanza dobbiamo intervenire – si chiede nell'articolo uno degli operatori preposto al “servizio” – visto che dormire in strada non viola alcuna regola”.


All’approccio basato sugli sgomberi e gli allontanamenti, promosso non solo dal Comune di Milano, i rom e i sinti di Brescia, antepongono il diritto al riconoscimento dei loro diritti come minoranza e a poter aprire un dialogo vero con le istituzioni in particolare per quel che riguarda le politiche abitative. E’ il messaggio lanciato alla manifestazione che si é tenuta Sabato 23 aprile a Brescia: I sinti manifestano “per la difesa della dignità” (Brescia Oggi, 21/4), Rom e sinti in centro storico contro le discriminazioni (Brescia Oggi, 24/4) e Sinti e Rom pacificamente in piazza per chiedere tutela e spazi attrezzati (Giornale di Brescia, 24/4). Alle richieste di dialogo, di rispetto dei diritti e al riconoscimento come minoranza il vicesindaco di Brescia risponde: “Non esiste il diritto a fare quello che si vuole come pretenderebbero alcuni rom e sinti. Non esiste il diritto a non pagare utenze e tasse e a non mandare i propri figli a scuola [...]”. I sinti bresciani hanno mai rivendicato il diritto a non pagare le tasse e a non mandare i figli a scuola? Dalle informazioni in nostro possesso non ci risulta.


Continuano purtroppo gli episodi di razzismo nel mondo dello sport. A Missaglia, in provincia di Lecco, un arbitro di origini kossovare viene insultato e preso di mira dal lancio di sassi e bottiglie dai giocatori e dai dirigenti della squadra dell'oratorio di Maresso: Sassi e insulti razziali contro l'arbitro (Provincia di Lecco, 22/4). Il dato più amareggiante, oltre all'episodio di violenza razzista in sé, é che i dirigenti della squadra, direttamente coinvolti, trovano, ancora una volta (confronta caso Wabara, Newsletter n. 11), il modo di respingere le accuse di razzismo, minimizzando l'accaduto e trincerandosi dietro propositi di iniziative antirazziste: “Nessuno ha offeso l'etnia dell'arbitro e mi impegnerò a organizzare un'iniziativa per la lotta al razzismo”. Come possono essere sconfitti il razzismo e la xenofobia nel mondo dello sport, se non vengono nemmeno riconosciuti e messi al bando come tale dai dirigenti delle squadre e dalle tifoserie tutte?


Il razzismo non risparmia certo le istituzioni politiche. Ne sono un esempio le affermazioni del consigliere indipendente di Morbegno (Sondrio), il quale discutendo di dove ospitare i profughi in fuga dal Nord Africa, così si sarebbe espresso: “[...] collocarli sul Tartano a fargli scegliere i sassi per la nuova superstrada e non sulle altalene o a giocare a volley beach”, “Rovedatti razzista” il sindaco lo segnala alla prefettura (Provincia settimanale di Sondrio, 23/4). L'esternazione carica di disprezzo del consigliere riflette d'altra parte quel processo di ‘disumanizzazione dell'Altro’ in atto nel nostro paese, che bene riassume Guglielmo Giumelli in questo articolo: Stranieri, quasi sempre per noi solo “corpi” e mai “persone” (Provincia di Sondrio, 23/4).


Arcigay Pavia denuncia il caso di due ragazzi omosessuali che si sono rivolti a loro dopo essere stati vittima ripetuta di bullismo omofobico: Omofobia al liceo, Arcigay denuncia. Telefonate anonime, scritte sui banchi e insulti contro i due ragazzi del Foscolo (Provincia Pavese, 26/4). I due ragazzi hanno scelto di rivelare di essere vittima di bullismo ad Arcigay perché non si sono ancora dichiarati in famiglia. Sono proprio i ragazzi e le ragazze non dichiaratamente gay le principali vittime del bullismo omofobico nelle scuole. La pensano così la sottoscritta e una ragazza del liceo Foscolo, dichiaratamente lesbica, che vuole organizzare con Arcigay degli incontri nella scuola per affrontare apertamente il problema: Bullismo anti-gay al liceo Foscolo (Giorno Lodi e Pavia, 27/4).


Due studiosi bresciani lanciano un appello affinché il cimitero ebraico di Viadana non venga abbandonato: “[...] Lanciamo un appello a chiunque vincerà le elezioni. Per il rispetto dei valori storici della cultura, salvate quel cimitero”: “Salvate il cimitero ebraico di Viadana” (Gazzetta di Mantova, 22/4).


In occasione delle celebrazioni per il 25 aprile, a Milano, durante il corteo, fischi e insulti sono stati rivolti alla Brigata Ebraica: Insulti e fischi alla Brigata ebraica (Giornale Milano, 26/4). “Solo chi non conosce quanto accadde quegli anni, e in quei mesi in particolare, può fischiare la Brigata Ebraica, che diede un importante contributo come realtà strutturata alla lotta per la libertà e la democrazia anche in Italia”: “Educhiamo i giovani, non hanno capito ciò che é successo” (CronacaQui, 26/4). E anche i giovani che, la mattina del 25 aprile a Crescenzago (Milano), hanno disegnato una croce celtica e le iniziali FN (Forza Nuova), chiunque essi siano, probabilmente non hanno capito cosa é successo nella storia del nostro paese: Simbolo di Forza Nuova sulla lapide che ricorda la Resistenza (Corriere Milano, 26/4).



Elena Cesari


giovedì 21 aprile 2011

Newsletter n.11/2011

La notizia più sconcertante di questa settimana è quella delle dichiarazioni negazioniste e antisemite di una professoressa del liceo linguistico Manzoni di Milano: La prof. negazionista che sul blog contesta il “mito dell’Olocausto” (Repubblica Milano, 14/4). Nel suo blog, leggiamo, la professoressa definisce la Giornata della Memoria “[...] una forzatura per inoculare nei giovani l’idea che gli ebrei hanno sofferto” e “l’Olocausto” “un mito”. In seguito ad un’interpellanza parlamentare, il Ministro dell’Istruzione Gelmini invierà un’ispezione per fare chiarezza: Prof negazionista, ispettori dal ministero (Repubblica Milano, 14/4). Il presidente della comunità ebraica di Milano Roberto Jarach e il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna hanno dichiarato: “Quelle falsità storiche sul web offendono la memoria di milioni di vittime innocenti della barbarie e della ferocia nazista e fascista” (Prof antisemita, arrivano gli ispettori, Repubblica Milano, 14/4). E Jarach suggerisce di organizzare un incontro a scuola con un sopravissuto allo sterminio nazi-fascista: Stupore e sconcerto al liceo linguistico. Un deportato a scuola per parlare di Shoah (Repubblica Milano, 15/4). Pubblichiamo qui di seguito il comunicato congiunto dell’UCEI e della Comunità ebraica di Milano.


Continuiamo a denunciare lo stile giornalistico del quotidiano milanese CronacaQui. In particolare questa settimana il quotidiano pubblica le foto degli interni di una delle case dove a breve si trasferirà una delle famiglie rom prima residente a Triboniano. Cronaca Qui ci tiene a precisare inoltre l’indirizzo (completo di interno) e a dare una descrizione completa dell’alloggio: Bye Bye Triboniano. Ma quali catapecchie? Ecco i 100 metri quadri che il Comune dà ai Rom. Sono in perfetto ordine, mancano solo i mobili. Già iniziato il trasloco, 20 euro al mese d’affitto (CronacaQui, 15/4). Oltre a violare la privacy, ravvisiamo nell’articolo anche i presupposti per l’istigazione nei confronti della famiglia rom. Ci chiediamo infine perché CronacaQui trovi strano e/o degno di nota il fatto che le case destinate ai rom rispondano agli standard abitativi di igiene e salubrità di qualsiasi altra casa.


Forse per lo stesso motivo per cui trova spazio nel giornale la ‘notizia’ di due donne rom che, noncuranti della multa ricevuta continuano a questuare davanti ad un ospedale di Milano: Rom “recidive” davanti all’ospedale “Le multe? Come carta straccia” (CronacaQui, 19/4). In questo caso le questuanti sarebbero “un fastidio per la gente”, altrove vengono sfrattati come fossero rifiuti da ripulire per far posto a progetti universitari: Sfrattati i rom. Nuovi posti-letto per gli studenti (Libero Milano, 20/4); a Milano insediamenti rom vengono sgomberati perché “oltre a intralciare il traffico comportano spesso degrado e abbandono di rifiuti per strada”: Rom, altri due sgomberi (Avvenire Milano, 14/4). Se nel senso comune rom e sinti vengono assimilati a rifiuti di cui liberarsi alla svelta, intralci, fastidi, dovrà stupire molto la notizia che i sinti di Gallarate, insieme ai Ranger d’Italia si sono mobilitati per ripulire il verde pubblico: Ranger e Sinti alleati per battere gli sporcaccioni (Provincia Varese, 17/4).


A Milano i posti in azienda riservati alle persone con disabilità sono 18.750, ma solo 6.103 sono occupati. Ben 400 aziende a Milano preferiscono pagare la multa di 51 euro al giorno prevista dalla legge che assumere una persona disabile: “Assumere disabili? Meglio pagare la multa. Quattrocento aziende pagano 40 milioni l’anno per non applicare la legge (Repubblica Milano, 19/4). Secondo la legge 68/99 le aziende dai 16 dipendenti in su dovrebbero assumere almeno una persona disabile fino a 35 dipendenti, sei in aziende con oltre 50 dipendenti. Denunciamo questo fatto vergognoso, come è vergognoso il fatto che la presidente di Piccola Industria e Confidustria Lombardia giustifichi le imprese così: “E’ giusto che le persone disabili trovino una loro collocazione, ma ci sono problemi spesso insormontabili. Al primo posto quelli della sicurezza: capita che dimentichino di usare le protezioni”. A Milano le cose non vanno meglio per quanto riguarda i parcheggi riservati alle persone con disabilità: Disabili, 21mila permessi ma solo 4mila posti auto e Badge disabili col telecomando contro gli abusi nei parcheggi (Repubblica Milano, 14/4). Il Comune cerca una soluzione al problema costituito da chi approfitta indebitamente dei parcheggi riservati, attraverso un badge personale di cui sarà dotato ogni disabile e col quale potrà attivare un telecomando in grado di riconoscerlo.


Sarà servita la ferma reazione di condanna della Federazione Italiana Pallacanestro all’episodio di insulti razzisti alla giocatrice di origine nigeriana Abiola Wabara (newsletter n. 10)? Ne parla Giuseppe Raspanti in un intervento che pubblichiamo in questo numero. Noi ce lo chiediamo perché all’episodio di razzismo ha fatto seguito un comunicato nel quale le tifoserie accusate di insulti razzisti hanno dichiarato di essere vittime di una campagna mediatica basata su notizie infondate: Cori razzisti, Eagles all’attacco (Giorno Como, 14/4) e “Cori razzisti? Wabara ha mentito” (Giorno Milano, 14/4). Le tifoserie, pur affermando di non essere stati presenti alla partita, al contempo hanno sostenuto di “aver assunto scrupolose informazioni” sulla vicenda e dunque di essere giunti alla conclusione che “Abiola Wabara ha mentito”. La strategia mediatica adottata è quella tipica del linguaggio razzista che trasforma la vittima in colpevole. Rissa con insulti a sfondo razziale domenica a Formigosa durante una partita di calcio: Rissa in campo, volano insulti razzisti. Partita sospesa a Formigosa, il guardalinee finisce al pronto soccorso. La miccia scoppia dopo un fallo. Coinvolto un giocatore di colore. (Gazzetta di Mantova, 17/4).


Questa settimana molte sono le notizie, riportate dalla stampa, dell’arrivo dei primi profughi di Lampedusa nelle città lombarde. Solo a titolo d’esempio: Arrivati i primi 200 tunisini, ma Milano si salva (Libero Milano, 17/4), Tunisini da Lampedusa a Brescia con il permesso temporaneo (Giornale di Brescia 16/4). Nella nostra provincia segnaliamo la ‘tortuosa’ vicenda dei trenta profughi giunti a Bozzolo, nella sede della cooperativa sociale San Lorenzo, per poche ore e dopo poche ore fuggiti: A Bozzolo 30 profughi tunisini. Saranno ospiti di una cooperativa. Oggi il bus da Lampedusa (Gazzetta di Mantova, 16/4); Tensione a Bozzolo, profughi in fuga. Scontro fra istituzioni. Il Comune all’oscuro dell’iniziativa della Regione e I tunisini arrivano. E se ne vanno subito. Giornata surreale a Bozzolo: gli alloggi non sono idonei, e intanto i profughi fuggono (Gazzetta di Mantova, 17/4). La vicenda ci sembra emblematica di una certa politica italiana, che tratta queste persone come scorie radioattive di cui si contrattano i tempi e i luoghi di permanenza, quando ormai è chiaro che non si riesce più a scongiurarne l’arrivo sul proprio territorio. Presi e trasferiti da un paese all’altro della penisola, in un clima di ostilità e sospetto da parte di alcune istituzioni e partiti politici, rivendicano la loro libertà di movimento, ad autodeterminare il luogo dove immigrare: Una quindicina allo sbando in stazione. Non capisco perché ci hanno portati qui. Vogliamo andare dove abbiamo parenti (Gazzetta di Mantova, 17/4). E’ della sopravvivenza, sanitaria ma non solo, degli immigrati irregolari di Milano, che si occupa l’inchiesta del Naga “La doppia identità”: Medici del Naga: cure rifiutate per un clandestino su due. Ignorata la legge che impone di assistere gli irregolari. (Corriere Milano, 14/4) e Milano non rispetta la legge per le cure mediche ai clandestini. Il Naga: “spesso gli ospedali non riconoscono il codice Stp che permette il rimborso attraverso i consolati” (Repubblica Milano, 14/4). Nella scorsa newsletter abbiamo pubblicato l’intervista ad Asinitas (confronta newsletter n.10, Una storia di storie), onlus romana da cui è nata ASNADA, a cui Repubblica questa settimana dedica un articolo: La scuola che insegna a profughi e clandestini come pensare al futuro (Repubblica Milano, 20/4). Grande clamore ha suscitato nella stampa la notizia di una ragazza di origine pakistana ritirata da una scuola di Brescia dalla famiglia perché “troppo bella” e dunque potenziale oggetto delle attenzioni dei ragazzi: La scuola attende la pakistana ritirata perché “troppo bella” (Brescia Oggi, 16/4). Dopo la mediazione di CGIL e del console del Pakistan, la ragazza è infine ritornata a scuola: Ritorno a scuola per la pakistana “troppo bella”. Nella notte, in Questura, l’incontro risolutore con il console, CGIL e fratelli (Giornale di Brescia, 17/4). Ovviamente tanta risonanza mediatica se da un lato ha avuto l’indubbio merito di far emergere la vicenda e l’invisibilità di molte donne immigrate chiuse dentro casa, dall’altro si presta anche alle strumentalizzazioni di chi professa l’inferiorità e l’arretratezza della religione islamica: Ci sono tante altre donne recluse. Quando la multietnicità è un inferno (Giorno Brescia, 19/4).


Chiudiamo la rassegna stampa con la notizia di tre ragazzi gay, cassieri di un supermercato, licenziati perché “troppo effeminati”: “Sei gay, non puoi lavorare alla cassa”. Aperto lo sportello contro le discriminazioni (Corriere Milano, 14/4). A quanto pare l’essere “troppo effeminati”, così come l’essere “troppo bella”, insomma l’essere troppo fuori dagli standard della cosiddetta ‘normalità’, che ogni comunità stabilisce come canone prevalente, disturba il senso comune, viene inquadrato come una provocazione, un difetto o peggio una colpa. Come si giustifica altrimenti la necessità di Luca Trentini (Arcigay) di spiegare che “Il cliché ci vede impiegati come parrucchieri, stewart, commessi, nella realtà siamo anche in fabbrica, in ufficio, in tutti i settori […]”.


Nel 2011 c’è ancora bisogno di dirlo?




Elena Cesari



mercoledì 13 aprile 2011

Newsletter n.10/2011

Il clima generale di paura e disprezzo verso gli immigrati che si respira nella lettura degli articoli della stampa lombarda, sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti. In particolare segnaliamo questa settimana ‘l’importante’ lavoro di diffusione del pregiudizio e dell’odio verso i migranti del giornale milanese Cronaca Qui, il quale, in occasione degli sbarchi a Lampedusa, ha istituito uno spazio dedicato intitolato significativamente L’invasione: Emergenza sbarchi. Ecco la strategia per chiudere i rubinetti e svuotare la vasca. L’assessore: “Non sarà facile”. Permessi da 6 mesi e pattugliamenti in Tunisia (Cronaca Qui, 7/4). A Cronaca Qui sembra importante questa settimana sottolineare il fatto che, a persone reduci da attraversate di giorni a bordo di barconi sovraffollati si fornisca nei centri di accoglienza, un vitto, indumenti puliti, un minimo per le proprie spese personali. Tutto questo, che personalmente ritengo sia semplicemente un dovere di ogni società civile basata sul rispetto della Carta Internazionale dei Diritti Umani, per i giornalisti di Cronaca Qui sembra essere un regalo lussuoso elargito dallo stato: Sarkozy caccia i clandestini tunisini. E noi? Li facciamo pure fumare gratis e Ecco la “dote” a cui ha diritto ogni sbarcato: pantofole e sigarette. L’hotel Italia ci costa un milione al giorno ( Cronaca Qui, 9/4). Se qualcuno dei giornalisti di Cronaca Qui avesse mai messo piede in un centro di identificazione ed espulsione, si sarebbe accorto immediatamente che si tratta di luoghi in cui le persone vivono in condizioni igenico-sanitarie precarie, come ci hanno più volte mostrato i rapporti di Amnesty International.

Perché il Ministro Maroni con una circolare del primo aprile nega l’accesso al Cie di Via Corelli ai Consiglieri regionali, se queste strutture sono adeguate all’accoglienza dei migranti? Insorgono alcuni esponenti dell’opposizione: “è intollerabile che […].sia negato il diritto/dovere di verificare le modalità di trattamento all’interno di Via Corelli”: Via Corelli. Il Viminale vieta l’ingresso nel Cie ai consiglieri ( Giornale Milano, 8/4).

Rimarchiamo ancora una volta la terminologia inadeguata, discriminatoria ed offensiva adottata dal quotidiano Cronaca Qui nei confronti dei migranti, tutti definiti “clandestini tunisini”, o nel caso dei venditori ambulanti “vu’ cumprà”: Casbah senza fine. Vu cumprà padroni tutte le domeniche Articoli taroccati, merce rubata, persino benzina. L’ira dei cittadini: “Situazione da Terzo Mondo” (Cronaca Qui, 12/4). Nell’articolo si trovano diverse non-notizie: le merci dei “vu cumprà” sarebbero articoli “con ogni probabilità contraffatti o rubati”.Inoltre la strategia giornalistica adottata mira esplicitamente a contrapporre i commercianti italiani definiti “risorsa” a gli ambulanti immigrati definiti “ piaga”.

Ultima ‘perla’ giornalistica che ci regala questa settimana Cronaca Qui è la notizia di un ragazzino di una scuola media lombarda vittima di furti da parte di un non ben precisato numero di coetanei: I ragazzi costretti dai bulli rom a consegnare telefonini e Ipod. Un’intera scuola ostaggio dei baby criminali zingari (Cronaca Qui, 13/4). Ovviamente non si perde occasione per non omettere l’origine etnica delle persone, anche quando si tratta di minori, utilizzando termini carichi di disprezzo nei confronti dei ragazzi rom (“banditi, criminali, zingarelli”) e riportando informazioni non certe per enfatizzare l’accaduto (“i due ragazzini farebbero parte però di una baby gang più vasta”). Segnaliamo, non senza stupore, che della stessa notizia ci informa il Giorno di Milano, con un articolo praticamente identico in tutto a quello di Cronaca Qui; “Siamo rom, dateci tutto o morirete." Presa la baby gang dei telefonini (Giorno Milano, 13/4). Ne deduciamo che purtroppo, un certo giornalismo, di questi tempi va a ruba.

L’ennesima grave notizia di razzismo nel mondo dello sport: La vergogna. Bufera Comense. C’è un’inchiesta sugli insulti razzisti (Provincia, 9/4). Durante una partita di basket Geas Sesto e Comense, la giocatrice di origine nigeriana Abiola Wabara viene insultata da un gruppo di tifosi per il colore della sua pelle senza che l’arbitro interrompa la partita come prevederebbe il regolamento. La gravità dell’accaduto è stata sottolineata dalle dichiarazioni di Mara Carfagna: “Il razzismo non è soltanto un fenomeno inacettabile, ma, soprattutto, un reato”, Cori razzisti, interviene il ministro. Razzismo, il filmato della Digos (Corriere di Como, 9/4). Nonostante ciò e nonostante la Procura federale abbia aperto un’inchiesta c’è ancora chi tenta di minimizzare e di attribuire la responsabilità alla vittima degli insulti: “Le scuse? Soltanto da Wabara” (Giorno Milano, 9/4). Ma la storia non finisce qui. E’ di ieri la presa di posizione della Federazione Italiana Pallacanestro che pubblichiamo in questa newsletter.

Ancora su Como, riportiamo la notizia del rifiuto da parte del Comune del patrocinio per la rassegna di cinema LGBT, promossa dall’associazione ComoGayLesbica, denominata Sotto lo stesso cielo: No al patrocinio per la rassegna gay (Corriere di Como, 12/4) e Il Comune nega il patrocinio ai gay (Provincia, 12/4). Il sindaco ha dichiarato: “La decisione di non concedere il patrocinio non è in alcun modo un giudizio sulle persone su cui c’è profondo e massimo rispetto. Il modello di società proposto, tuttavia, non riteniamo che possa essere additato come esempio”. Di che modello parla il sindaco? Forse di una società dove tutti e tutte si sentano liberi e libere di essere ciò che sono e di amare chi vogliono? Personalmente, auspico l’avvento di tale società.

Continuano gli sgomberi dei campi rom del Comune di Milano, l’elenco dei quali è ‘orgogliosamente’ tenuto aggiornato dal vicesindaco Riccardo De Corato: Quasi 500 sgomberi spesi sette milioni, ma i rom sono ancora lì (Repubblica Milano, 11/4). Tuttavia le associazioni notano che “gli sgomberi hanno avuto l’effetto di moltiplicare gli insediamenti, sempre più piccoli e dispersi sul territorio. E’una tendenza disastrosa: diventa difficile assicurarsi che i bambini vadano a scuola”. A prima vista non sembra un risultato di cui andare fieri.

Nel frattempo a Brescia i sinti denunciano che “ i bagni allestiti dal Comune sono ancora chiusi a chiave e recintati” nonostante l’avvenuto trasferimento della famiglia Terrenghi in via Borgosatollo , condizione necessaria richiesta dal Comune per la riapertura dei servizi igenici. Brescia, l’ira dei Sinti: “Il Comune non rispetta i patti e non apre i bagni”(Giorno Brescia, 13/4) e I Sinti protestano: "I servizi igenici rimangono chiusi" (Brescia Oggi, 13/4).

Per un approfondimento su queste questioni rimandiamo alla lettera di Luigino Beltrami sulla storia del campo di Via Orzinuovi.

Chiudiamo la rassegna con una serie di buone notizie, decisamente in coraggiosa controtendenza rispetto al panorama degli eventi di questa settimana.

La prima riguarda un’importante decisione della Consulta che ha dichiarato illegittimo l’articolo, contenuto nel pacchetto sicurezza, che amplia, senza delimitarli, i poteri decisionali dei sindaci: La Consulta: “Stop ai sindaci-sceriffi” (Gazzetta di Mantova, 8/4). Secondo la Consulta tale articolo lede infatti “l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, perché gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti” a seconda del giudizio dei sindaci. In virtù di tale decisione, a Mantova le opposizioni chiedono il ritiro dell’ordinanza anti-accattonaggio varata lo scorso giugno dal sindaco: Ritirate la norma antiaccattoni. Dopo la sentenza le opposizioni attaccano il sindaco (Gazzetta di Mantova, 9/4).

Altra bella notizia che riguarda Mantova è la nascita del ‘nodo locale’ dell’associazione “Giovani musulmani italiani”: Islamici nati a Mantova fondano un movimento e I giovani musulmani che cantano Mameli (Gazzetta di Mantova, 8/4). L’associazione è nata in Italia 10 anni fa e “basa il suo operato sulla consapevolezza che i giovani musulmani, figli della società italiana, conoscono intimamente sia la cultura di origine, sia quella in cui vivono. La nostra vita deve essere una sintesi di queste due realtà”, racconta Atif Nazir ventiduenne di Suzzara e membro della neonata associazione mantovana.

A Castiglione delle Stiviere ha aperto, alla presenza di sindaco, parroco e degli assessori alla cultura e ai servizi sociali, il nuovo centro culturale islamico: Paganella: “E ora giustizia è fatta”. Il sindaco ha inaugurato il centro islamico: messa la parola fine su tante falsità(Gazzetta di Mantova, 10/4). Assenti purtroppo gli esponenti della Lega, i quali hanno già apertamente annunciato la loro contrarietà all’apertura del centro: Castiglione. Ma la Lega annuncia battaglia: “Quella è una moschea”. Sindaco e parroco inaugurano il centro islamico (Gazzetta di Mantova, 10/4). Infine segnaliamo che è stato siglato dall’assessore alle Politiche Sociali Fausto Banzi e dal suo omologo reggiano l’accordo sull’immigrazione fra le Province di Mantova e Reggio Emilia che prevede, fra l’altro, lo sviluppo di politiche comuni su di un territorio vasto e lo scambio di buone prassi: Mantova-Reggio Emilia accordo sull’immigrazione (Voce di Mantova, 10/4).
Elena Cesari

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giovedì 7 aprile 2011

Newsletter n.9/2011 - Un altro mondo è stato possibile. Lombardia 1994

Quando Elvira, dodicenne, sua madre, sua nonna e i suoi fratellini nel 1994 arrivarono a Cevo, nell’alta Valle Camonica avevano addosso la stanchezza senza speranza e la tristezza spaesata di chi fugge da un massacro incomprensibile, da una guerra cruenta in cui le vittime erano soprattutto i civili, sottoposti a quella violenza sistematica, razzista e nazionalista che da allora ha preso il nome di pulizia etnica.
L’iniziativa di portarli via da un campo profughi croato per dar loro la possibilità di ricominciare a vivere è stata presa una cordata di sindaci bresciani. Elvira e i suoi venivano da Srebrenica, teatro del più tremendo massacro della guerra di disgregazione della ex Jugoslavia.
Ad accogliere le due donne e i tre bambini c’era mezzo paese, venne messa a disposizione della famiglia Mujcic una casa, del cibo e poi la scuola e un lavoro. Elvira e i suoi erano musulmani di Bosnia. Nella Jugoslavia socialista le religioni non avevano un gran peso, soprattutto tra gli intellettuali. E la mamma di Elvira, che a Cevo si guadagna da vivere ancora facendo l’operaia, era fisico nucleare. Il parroco, don Paolo, si preoccupò di evitare ai profughi musulmani l’imbarazzo di un’abitazione con i simboli di una religione che presumeva non fosse la loro. Andò a casa, staccò dai muri crocifissi e immagini della Madonna e portò in dono ai nuovi concittadini un Corano.
Fra qualche settimana, alla fine di aprile, due classi di due scuole mantovane andranno in Bosnia, in un viaggio organizzato dall’Assessorato alle politiche sociali della Provincia di Mantova e dall’Istituto mantovano di storia contemporanea. Dopo un lungo itinerario di preparazione, hanno incontrato Elvira Mujcic, che oggi vive a Roma, dove scrive e pubblica bellissimi libri in italiano. “Riuscite a immaginare che quanto è accaduto a me nel 1994 possa accadere a una famiglia di profughi anche oggi?” ha chiesto la giovane scrittrice ai ragazzi.
Una storia analoga è quella di Elzada Sarhatlic, che col suo racconto della pulizia etnica e della fuga da Stari Majdan, al nord della Bosnia, ha aperto il percorso di formazione riservato agli studenti mantovani. Anche lei e sua sorella hanno trovato a Roverbella, in provincia di Mantova, un’accoglienza che ha dato alle due bambine conforto e strumenti per costruirsi un futuro insieme alla madre.
Tra il 1992 e il 1995, 78.500 profughi in fuga dalla ex Jugoslavia in guerra sono stati accolti in Italia, e il numero si riferisce solo a coloro che sono entrati in Italia con un regolare permesso di soggiorno per motivi umanitari; molti non ebbero il tempo o non vollero chiederlo e nel nostro Paese entrarono ugualmente. Magari in transito verso Paesi europei in cui la normativa sui diritti dei rifugiati era (come tuttora è) migliore, più garantista e organica.
Erano musulmani, cattolici, ortodossi, atei che trovarono in Italia, nell’Italia del Nord soprattutto, un’accoglienza spesso straordinaria; decine di lombardi, di veneti, di piemontesi e non solo aprirono le proprie case a chi non ne aveva più una. Si formarono famiglie allargate, non sempre facili da gestire; molti italiani rinunciarono per mesi, in qualche caso per anni, al secondo bagno, alla camera in più, all’appartamentino preparato per il futuro dei figli per ospitare gli stranieri. A farlo era gente comune, spesso furono i parroci a promuovere l’accoglienza; ma anche gli enti locali, le organizzazioni di volontariato.
Dov’è finita quell’Italia che non aveva paura dell’altro? Come può avere dimenticato se stessa? Quando, alcuni anni fa, ho chiesto a un giovane uomo dell’Azione Cattolica perché nessuno di loro avesse pensato di scrivere quella bellissima storia, mi ha risposto con una frase che esprime un principio evangelico, pratica dei cristiani migliori: - Non sappia la mano destra quel che fa la sinistra. Non facciamoci vanto delle nostre buone azioni.
Ma le storie e la Storia vanno raccontate, contribuiscono a costruire l’autocoscienza dei popoli, stabiliscono un piano di realtà che serve a orientarsi nel futuro. La smemoratezza travolge l’Italia, non si elaborano le colpe del passato prossimo, ma nemmeno i gesti di coraggio di un passato così recente. Oggi c’è soprattutto paura; gli stessi paesi che hanno accolto nelle proprie case i profughi quindici anni fa, oggi plaudono a chi dice di buttarli fuori dalle scatole tutti, senza perder tempo a distinguere chi fugge da una guerra o, semplicemente, ‘banalmente’, dalla fame, dalle malattie o dalle discriminazioni. Fuori tutti, anche i minorenni, i bambini.
Speriamo che la bozza d’accordo che prevede la concessione di permessi temporanei vada in porto in condizioni di rispetto per la dignità dei migranti. E se qualche italiano decidesse di aprire la propria casa, come è accaduto negli anni Novanta, a una donna, un uomo, un bambino in fuga verso la vita?
Grazie, Elvira, di averci ricordato che un altro mondo, nel suo piccolo, è stato possibile anche da noi.

Maria Bacchi

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martedì 29 marzo 2011

Newsletter n.8/2011


Da alcune settimane seguiamo la vicenda del nuovo regolamento per l’area di sosta di viale Learco Guerra, dove risiedono alcune famiglie mantovane e sinte. La stampa locale dettaglia i passaggi fino all’approvazione in Consiglio del documento definitivo, passando per le contestazioni dei diretti interessati e delle associazioni: Campo nomadi, passa il nuovo regolamento (Voce di Mantova, 26/3), Via Roma tende la mano ai nomadi (Gazzetta di Mantova, 25/3), Perché votare ciò che già esiste? Essendo i nomadi cittadini italiani hanno diritti e doveri come tutti (lettera dell’Associazione Sucar Drom, Voce di Mantova, 23/3), I Sinti occupano il Comune. Domani in 500 protesteranno contro il regolamento (Gazzetta di Mantova, 24/3), Nomadi. Dalla Lega un segnale al sindaco (Gazzetta di Mantova, 26/3). Insomma, si vedrà cosa accadrà al momento dell’applicazione del regolamento. Tutto qui? No, perché c’è più di una cosa che non torna. Prima di tutto l’oggetto del dibattito: io ancora non trovo normale che un gruppo di persone debbano venire "regolamentate" su base etnica. Non sarebbe più equo dire che c’è un certo numero di famiglie in stato di povertà che semplicemente avrà accesso ad un piano di aiuti (casa, lavoro, scuola...) come tutte le altre che ne hanno bisogno? Ancora mi indigno quando leggo che durante la seduta consigliare del 25 marzo il capogruppo leghista Luca De Marchi avrebbe detto: «I nomadi non sono cittadini mantovani normali, è gente che ha il vizietto di delinquere [...] non ci facciamo intimidire dalla minaccia di adunate di nani e ballerine» (Gazzetta, 26/3). [...]


Angelica Bertellini


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martedì 22 marzo 2011

Newsletter n.7/2011 - Il presente della memoria

La scorsa settimana abbiamo letto e segnalato delle modalità di attuazione del progetto di inserimento abitativo per le famiglie sinte mantovane che ancora risiedono nell’area di sosta.
In sostanza si tratta dell’approvazione del “nuovo regolamento” che, nell’ottica dell’attuale Amministrazione, dovrebbe col tempo portare alla chiusura del ‘campo’ stesso. La replica alla prima pagina del 15 marzo (Campo nomadi a tempo) arriva con: I nomadi replicano: campo aperto a tutti i sinti. “Via Roma non rispetta i patti” (Gazzetta di Mantova, 16/3) e Sinti e Rom scendono in piazza (Gazzetta di Mantova, 19/3).
Su questo numero della nostra newsletter iniziamo a dare spazio e voce a quella parte dei nostri concittadini che dovrà poi vivere alla luce di questo regolamento ad hoc. Della discussione che si è aperta tra gli interlocutori – Comune di Mantova e associazione Sucar Drom, da sempre soggetto della mediazione culturale e del protagonismo attivo delle donne e degli uomini sinti – leggiamo ancora in numerosi articoli, tra cui: Nomadi, in aula il regolamento (Gazzetta di Mantova, 17/3) e Integrare i nomadi? Basta mantovanizzarli! (Voce di Mantova, 17/3).
Su quest’ultimo mi preme fare alcune considerazioni. L’anonimo articolista così descrive il progetto sussunto al nuovo regolamento: “La giunta di centrodestra intende così dare forma alla tanto demagogizzata ‘integrazione’: mantovanizzando le minoranze. Che peraltro proprio minoranze non sono, a detta dell’assessore al welfare Arnaldo De Pietri: «Il campo nomadi ospita sinti e rom tutti assolutamente mantovani»”.
Esatto: tutte e tutti mantovani, l’assessore si è fermato qui (leggo il virgolettato). E’ il giornalista che non conosce la differenza. Esplicitiamola, dunque: nell’area di sosta di via Learco Guerra risiedono persone italiane, mantovane e appartenenti alla storica minoranza dei sinti, così come ci sono gli ebrei mantovani, i musulmani mantovani, ecc... Semplice.
Provano, e lo segnaliamo volentieri, a prendersi la parola sul primo quotidiano locale le famiglie: A mia madre ho dato una rassicurazione sbagliata (Lettera firmata, Gazzetta di Mantova, 19/3), Ma come fa il consigliere a sapere che siamo sporchi? (Yuri del Bar), Cantano Fratelli d’Italia poi danno il ‘giro di vite’ (Giacobbe); si aggiungono il segretario di Sucar Drom e alcuni privati: Quella è una discriminazione cara consigliera Graziano (Carlo Berini), Nomadi, cosa c’è che ci spaventa? E io adesso non mi sento tanto bene (di Anna Volpi, stessa data). [...]

Angelica Bertellini

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martedì 15 marzo 2011

Newsletter n.6/2011

Ci risiamo: inizia una campagna elettorale, perciò tutte e tutti pronti a rilevare l’ineluttabile standard che vede la gran parte del mondo politico, e quindi amministrativo, occuparsi delle cose più disparate, possibilmente scaricando i problemi sui più deboli. I giornali, dal canto loro, vivono il periodo più intenso, nel tentativo di riuscire a fare informazione, e soprattutto luce sui veri problemi del territorio, nonostante le pressioni e il prossimo clima di scontro e provocazione. Si tratta di elezioni amministrative, ma questo non diminuisce la pericolosità di alcuni soggetti politici alla ricerca del capro espiatorio, anzi: le votazioni che hanno diretto effetto sul locale sono molto sentite, perché i nostri primi interlocutori sono senz’altro le donne e gli uomini che rivestono l’incarico di Sindaci e di Presidenti delle Province, quindi la posta in gioco è alta e parimenti deve essere la nostra attenzione nell’assicurarci che la tensione non sia scaricata sulla testa delle minoranze (o delle maggioranze con minor voce). Il ruolo della stampa è fondamentale. Una cosa mi ha colpita scorrendo le decine di titoli arrivati alla mia scrivania: almeno due progetti di inserimento abitativo per le famiglie sinte e rom si sono trasformati in un’azione di ‘sicurezza’, in uno slogan che suona come quello di una campagna di disinfestazione. [...]

Angelica Bertellini

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giovedì 10 marzo 2011

14-21 marzo 2011, Articolo3 partecipa alla Settimana contro il Razzismo


"Articolo 3, Osservatorio sulle discriminazioni", la Provincia e il Comune di Mantova, con l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, in occasione della Settimana contro il Razzismo del 14-21 marzo, organizzano una rassegna cinematografica:
- mercoledì 16 marzo, Soul kitchen, di F. Akin (2009)
- venerdì 18 marzo, Uomini di Dio, di X. Beauvois (2010)
- lunedì 21 marzo, L'ospite inatteso, di T. McCarthy (2008)
Le proiezioni - ad ingresso gratuito - si terranno presso il Cinema Mignon alle ore 18.00

mercoledì 9 marzo 2011

Newsletter n.5/2011 - Amiche di marzo: sono troppe le assenti

Olga, Tanja, Lamara e poi Elvira, Elzada, Ida, Zemina, Ajna, Lejla, Rada, Melita, Chaimaa, Eva sono donne, di età diverse, con le quali in questi anni ho condiviso i pensieri più complessi, i momenti più difficili, le scritture più ardue; oltre a speranze, lutti, allegrie, discorsi sull’amore. Con loro e con le mie amiche ‘storiche’, quelle che da anni e anni fanno luce nella mia vita. Nessuna delle donne delle quali ho fatto il nome – tranne Eva, che è sinta – è nata in Italia; ci sono arrivate trascinate dalle guerre, dai flussi migratori, dalle difficili disgregazioni degli stati multinazionali nati e morti nel Novecento. Sono entrate nella mia vita e restano a farne parte, per fortuna. Donne provenienti da altri luoghi del mondo sono, a vario titolo, nella vita di molte di noi; con loro viviamo, pensiamo, studiamo; spesso ci aiutiamo a invecchiare, a crescere figli, a morire. Ma, tranne rari casi, non sono con noi nei momenti della partecipazione alla vita politica, dell’ ‘occupazione’ della scena pubblica. Nemmeno l’8 marzo, almeno a Mantova. E, come a Mantova, nella maggior parte delle città italiane. E questo da tempo mi mette profondamente a disagio perché non è imputabile a nessun ‘potere maschile’; dipende solo ed esclusivamente da noi, da un vuoto nella percezione di quel soggetto politico complesso che siamo oggi noi donne. Come gli uomini, tranne poche eccezioni, ci siamo abituate a pensare all’interno di un universo culturale e linguistico autoreferenziale, quello della cultura maggioritaria. Uno sguardo più attento alla ‘storia di genere’ ci aiuterebbe ad allargare i nostri orizzonti. Per una volta è una voce maschile, quella di un grande storico – americanista e studioso delle fonti orali – come Alessandro Portelli ad aprire il mio sguardo e a dare conforto al disagio mio e di altre, credo; a commuovermi. Riportiamo su questa Newsletter di Articolo3 il suo scritto, 8 marzo, i nomi della scintilla (il Manifesto, 8 marzo 2011, qui sotto pubblicato integralmente grazie alla redazione del giornale). Che cerca, risalendo ai nomi, le provenienze delle 145 operaie morte nell’incendio della Triangle Shirtwaist Factory di New York, nel marzo del 1911. Immigrate, donne, operaie: "tre volte senza diritti". E, per di più, spesso minorenni. Molte erano italiane, alcune ispaniche. A colpirmi è anche il fatto che ben 102 erano ebree, proletarie provenienti dagli shtetl dell’Europa orientale: spesso in fuga, oltre che dalla povertà, dall’antisemitismo. La storia dell’8 marzo dovrebbe costringerci a un pensiero plurale che infranga pregiudizi di ogni tipo; dovrebbe indurci a promuovere pratiche di ascolto reciproco per costruire insieme una nostra forza che nessuno possa usare per scopi minori. Se nelle ‘nostre’ iniziative non coinvolgiamo le cittadine migranti, le concittadine sinte e rom, le rifugiate, quelle che appartengono alle minoranze religiose e, in generale, tutte quelle che fanno parte di qualche minoranza discriminata, se non sappiamo dare voce a una molteplicità di racconti diversi – sul lavoro, sull’amore, sulla nascita, sull’infanzia, sulla malattia, sulla nostalgia – , se non riusciamo a fare questo allora qualcosa non va nel nostro modo di prendere parola e di porgere ascolto. Cioè nel nostro senso politico della vita.

Maria Bacchi

Con piacere segnaliamo che a Brescia, a Varese e a Milano, per portare alcuni esempi, ci sono gruppi di donne che hanno cominciato a ragionare nella prospettiva di incontro con le donne migranti. MB

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martedì 1 marzo 2011

Newsletter n.4/2011

La notizia mantovana che questa settimana maggiormente colpisce l’attenzione è Immigrati? Sospeso il maxi risarcimento (Gazzetta di Mantova, 24/2). Una famiglia ha vinto un grado di giudizio per lesioni gravi al figlio (un errore al momento del parto cesareo ha compromesso per sempre le principali funzioni vitali), ma non può ricevere tutto il risarcimento. Le ragioni addotte: non sono ancora cittadini italiani, quindi potrebbero tornare in Marocco e, qualora l’ultimo grado desse loro torto, sarebbe difficile ottenere il rimborso. La domanda a cui al momento non so rispondere è: nel caso fossero italiani, quale garanzia potrebbero offrire di restituzione? In caso fossero più o meno le stesse (e basta vedere la casistica), allora si tratterebbe di discriminazione. Poi ci sono due lettere, che vi proponiamo di leggere: Emigrazione. Pensiamo agli altri…se avanza qualcosa (di Luca De Marchi, Gazzetta di Mantova, 27/2) e I diritti dei figli vanno sempre rispettati (dell’avvocata Loredana Ganzerla, Voce di Mantova, 27/2). La prima riprende una tesi già proposta dallo stesso autore, ossia che provvedere ai bisogni primari dell’essere umano non può basarsi sul principio di uguaglianza: gli aiuti per il diritto all’alloggio, alla salute e alla scuola non possono essere riconosciuti a chi non abbia determinate caratteristiche (non specificate dal consigliere: cittadinanza, residenza...?), perché i soldi sono pochi, quindi deve intervenire un criterio di priorità. In linea di principio è vero: se c’è poco occorre individuare le emergenze. E’ sul concetto di emergenze, di priorità che il resto dell’umanità non è d’accordo: siamo o non siamo tutti e tutti uguali di fronte al nucleo minimo del concetto di "essere umano"? La seconda lettera emette un giudizio forte e di condanna per i genitori dei quattro bambini morti pochi giorni fa a Roma, in sostanza la colpa sarebbe dei genitori. Non abbiamo, dall’autrice, possibilità di sapere se ella sia a conoscenza dei fatti, ci pare nettamente di no, eppure, sulla base del pregiudizio, accusa due persone del gesto più terribile.

martedì 22 febbraio 2011

Newsletter n.3/2011 - Razzismo minore

Noureddine Adnane, il giovane ambulante marocchino che una settimana fa, a Palermo, si era dato fuoco, come estrema e disperata protesta contro i ripetuti sequestri della sua merce e della sua dignità, è morto. Aveva un regolare permesso di soggiorno e una altrettanto regolare licenza di vendita. Il regolamento comunale prevede però che gli ambulanti non possano fermarsi più di un’ora in un certo luogo della città, e per questo una più che meticolosa pattuglia di vigili urbani – sempre gli stessi, a quanto pare – ha provveduto contro di lui a quattro sequestri in pochi giorni. All’ultimo, Adnane (da dieci anni in Italia, moglie e figlia in Marocco) non ha retto più: ha minacciato di darsi fuoco, tra l’incredulità o l’indifferenza dei presenti, e lo ha fatto. Nel suggerire una riflessione su questo avvenimento terribile mi ero riproposto di superare il livello della cronaca e della denuncia, per tentarne piuttosto una analisi, per così dire "tecnica". Dopo tutto, è quello che più o meno ci si aspetta dal sociologo di professione: avere elementi per capire "perché" episodi come questo possano accadere. Ma mi accorgo di avere in mano solo armi spuntate, come in pochi altri casi. Non vi è nulla da capire, nel caso di Adnane: tutto è chiaro e ripetuto infinite volte.

Si sono stabilizzati nel nostro paese (e, ovviamente, non solo da noi) meccanismi inerziali di eliminazione dei più deboli, che procedono con grande efficacia, meccanicamente e spietatamente. Agiscono nell'indifferenza e nell'impazienza dei più, tollerati e spesso giustificati da una correlativa ansia di affermazione e talvolta di prevaricazione. C'è un'intolleranza latente, che cerca ogni occasione per precipitare in gesti di discriminazione concreta, e tanto più in contesti sociali svantaggiati. Vi sono pratiche istituzionali incapaci di cogliere con intelligenza gli obiettivi primari, e comportamenti di ruolo che ne mettono in atto i tratti più aggressivi e arroganti. Vi sono i segni di un razzismo 'minore' che non ha bisogno di imprenditori politici espliciti, perchè ormai è capace di procedere da sé, burocraticamente e anonimamente, nelle pieghe della 'normalità' dei comportamenti quotidiani. Non accontentiamoci del cordoglio, neanche di quello sincero: si tratta piuttosto di ricostruire le condizioni per una nuova (e minima) coscienza civile.

Enzo Campelli, sociologo

Da l’Unione – informa, 22 febbraio 2011

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martedì 15 febbraio 2011

Newsletter n.2/2011 - Donne, o Dell'esasperazione

Alla manifestazione "Se non ora, quando?" di Bologna eravamo tante, in questa domenica di quasi San Valentino in cui c’è poco da festeggiare, quanto a rapporti tra i generi. Un corteo lunghissimo, di circa cinquantamila persone, in gran parte donne. Signore sessantenni o giù di lì, con gli occhi lampeggianti a tradire l’entusiasmo di essere di nuovo in piazza, insieme, fianco a fianco delle figlie trentenni e delle loro bimbe, a loro volta mischiate a liceali e universitarie. E poi uomini, quelli sani: chi con una bambina seduta sulle spalle, chi per mano alla fidanzata, o a braccetto di una moglie – magari, chissà, conosciuta quarant’anni prima in una circostanza simile. "Cosa stiamo facendo, papà?", alza gli occhi una bimba di quattro, cinque anni. "Ci stiamo provando, tesoro!", risponde lui sorridendo, con un tono che sembra tanto una promessa. Molto si è dibattuto in questi giorni, a proposito della manifestazione che ha coinvolto tutte le piazze d’Italia – un appello a dichiarare il proprio sdegno e la propria stanchezza, rivolto alle donne e agli uomini ‘amici delle donne’. Tra le donne e tra le fila dei movimenti femministi sono sorti punti di vista differenti, pro o contro un evento pubblico passibile di varie e contrapposte interpretazioni; al di là delle opinioni sulla manifestazione, il fulcro del dibattito risiede più in profondità, nel come pensare, descrivere, parlare di e prendere posizione rispetto a una serie di episodi che hanno svelato in modo macroscopico il legame tra sesso e potere politico e, ancora più alla base, rispetto a un certo schema di rapporto tra i sessi, che credevamo affossato per sempre. Il modo in cui questo ‘come’ è stato discusso sui giornali e nei media in genere sembra aver escluso, ancora una volta, il punto di vista più profondamente femminile – e dunque femminista – sulla questione. In molti casi, il Rubygate è stato presentato come una sbavatura del ‘privato’ nel ‘pubblico’, un eccesso del primo che, proprio in quanto eccesso, ha debordato, invadendo la sfera del pubblico. Come a dire che, se questo privato non avesse coinvolto, ad esempio, persone minorenni o il rischio della ricattabilità, avrebbe potuto restare relegato ai salotti e alle stanze da letto del signore in questione, il quale avrebbe continuato a gestire il proprio ruolo pubblico in tranquilla indipendenza dal proprio fare privato. Ebbene, che queste due sfere siano e debbano restare scisse ed estranee l’una all’altra, è tutto da verificare. Se certo pensiero maschile tende a dividere i due aspetti, terrorizzato dall’ipotesi che il pubblico possa essere influenzato e inquinato dal privato, il pensiero femminista sa guardare a questi due ambiti come ad elementi che si completano e fecondano a vicenda. Il ‘privato’ deve poter partecipare del ‘pubblico’; quando il privato è politico, certamente più di quanto lo sono le alleanze tra partiti, i discorsi, le cariche istituzionali. Anche in casa propria, un personaggio pubblico resta tale e, in quanto investito di grandi poteri, deve saper essere degno di grandi responsabilità, non ultima quella dell’esempio.

A parere di molte, il nodo della questione non è nemmeno quello individuato dalla politica ufficiale, la cui tentazione è stata – sostiene Elettra Deiana – "di derubricare inclinazioni e pratiche sessuali del premier alla mera dimensione personale, o di enfatizzare […] soltanto il profilo scandalistico e possibilmente giudiziario".(1)

Non è gossip da salotti e non è (solo) problema legale: tutto questo è, infatti, ben più grande e grave di così. Non si tratta nemmeno di distinguere tra coloro che ‘scelgono’ la prostituzione, "indecenti per obbedienza" come la Marilyn di Pasolini, e "tutte le altre donne" cui Concita De Gregorio ha rivolto il suo appello, perché questo porta con sé odore di moralismo; né è questione di dignità della nazione, specchio secondo alcuni della dignità femminile, poiché "è certo che dignità e libertà femminile si sono affermate da sempre non dentro e con, ma dentro e contro le vicende, oggi e non solo oggi alquanto indegne, della nazione, e in un movimento ben più largo dei suoi confini".(2) Ugualmente, è opinabile l’idea che ad essere violata dal sexgate e dai suoi strascichi sia la dignità solo femminile; questa messinscena della virilità dovrebbe offendere almeno allo stesso modo, o forse più, gli uomini italiani, che invece di ergersi a paladini della dignità delle "loro" donne – scivolando miseramente in quegli stessi meccanismi machisti che credono di stare criticando – dovrebbero interrogarsi sulla loro. [...]

Elena Borghi

1. E. Deiana, "Barbarie e voyeurismo", in Gli Altri, 28 gennaio 2011.

2. I. Dominijanni, "Tre desideri per domenica e dopo", in Il Manifesto, 11 febbraio 2011

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martedì 8 febbraio 2011

Newsletter n.1/2011 - Il presente della memoria

A ripresa della nostra newsletter settimanale pubblichiamo l’introduzione del Presidente di Articolo 3 in occasione della presentazione del nostro rapporto annuale, il 31 gennaio 2011.

Articolo 3 presenta oggi il suo il terzo rapporto annuale, il documento ufficiale dell’attività svolta nel 2010, che, confrontato con i precedenti, rivela l’autorevolezza acquisita nel periodo trascorso da quel 1° maggio 2008 quando l’Osservatorio – su iniziativa delle Istituzioni locali, Provincia e Comune di Mantova, delle associazioni Sucar Drom, Istituto di cultura sinta, Arcigay, Istituto mantovano di storia contemporanea e Comunità ebraica con la collaborazione di UCEI – ha iniziato il suo percorso operativo tra le più ampie incertezze. Gli elementi del nostro legittimo orgoglio emergono sin dalla semplice lettura del rapporto stesso e dall’allegato: in particolare, i riconoscimenti di UNAR, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, che ci ha scelto come suo referente territoriale e l’attribuzione del finanziamento europeo per il progetto In other words - Con altre parole, con compiti di riferimento e coordinamento per esportare agli osservatori nascenti in altri Paesi europei i nostri modelli organizzativi. La riconosciuta esperienza di Articolo 3 si è forgiata nella multiforme attività quotidiana: l’analisi della rassegna stampa locale e regionale lombarda, l’evidenziazione degli atti discriminatori in essa contenuti, l’estrapolazione degli argomenti da discutere in sede di redazione della settimanale newsletter; le collaborazioni formative in ambito scolastico; e l’attività dello Sportello antidiscriminazione. Nella locandina predisposta da Articolo 3 per la presentazione del rapporto annuale è citata la frase di Primo Levi: “A molti individui o popoli può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni straniero è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come un’infezione latente. […] la storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo”, affermazione che costituisce la nostra essenza propulsiva. I moniti che Articolo 3 rivolge alle espressioni e agli atti discriminatori vengono indeboliti, se non risucchiati, dall’impatto con il massificato contesto culturale superficiale e depresso, assai ricco di modelli fasulli, che si manifestano con gli atteggiamenti passivi, certo meno impegnativi ma anche assai meno civili. L’incisività di Articolo 3 nel tessuto sociale non può competere in termini persuasivi con quella dei media, che si insinuano ed ingombrano le nostre case diffondendo concetti lontanissimi da quelli che hanno ispirato i Padri e le Madri della Patria, che corrodono progressivamente i consolidati pilastri della Costituzione e della democrazia. Tuttavia, Articolo 3 non demorde e proseguirà con sempre maggiore tenacia la sua missione, forte della straordinaria coesione delle sue componenti, minoranze fuse in un’unica che ne moltiplica tanto la determinazione quanto la voce, e nella certezza che le Istituzioni, Provincia e Comune di Mantova, ma non solo queste, consolidino l’indispensabile sostegno, considerando l’Osservatorio un’irrinunciabile risorsa per le stesse Istituzioni ed insostituibile riferimento per tutti i cittadini e le cittadine.
Fabio Norsa

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