mercoledì 9 marzo 2011

Newsletter n.5/2011 - Amiche di marzo: sono troppe le assenti

Olga, Tanja, Lamara e poi Elvira, Elzada, Ida, Zemina, Ajna, Lejla, Rada, Melita, Chaimaa, Eva sono donne, di età diverse, con le quali in questi anni ho condiviso i pensieri più complessi, i momenti più difficili, le scritture più ardue; oltre a speranze, lutti, allegrie, discorsi sull’amore. Con loro e con le mie amiche ‘storiche’, quelle che da anni e anni fanno luce nella mia vita. Nessuna delle donne delle quali ho fatto il nome – tranne Eva, che è sinta – è nata in Italia; ci sono arrivate trascinate dalle guerre, dai flussi migratori, dalle difficili disgregazioni degli stati multinazionali nati e morti nel Novecento. Sono entrate nella mia vita e restano a farne parte, per fortuna. Donne provenienti da altri luoghi del mondo sono, a vario titolo, nella vita di molte di noi; con loro viviamo, pensiamo, studiamo; spesso ci aiutiamo a invecchiare, a crescere figli, a morire. Ma, tranne rari casi, non sono con noi nei momenti della partecipazione alla vita politica, dell’ ‘occupazione’ della scena pubblica. Nemmeno l’8 marzo, almeno a Mantova. E, come a Mantova, nella maggior parte delle città italiane. E questo da tempo mi mette profondamente a disagio perché non è imputabile a nessun ‘potere maschile’; dipende solo ed esclusivamente da noi, da un vuoto nella percezione di quel soggetto politico complesso che siamo oggi noi donne. Come gli uomini, tranne poche eccezioni, ci siamo abituate a pensare all’interno di un universo culturale e linguistico autoreferenziale, quello della cultura maggioritaria. Uno sguardo più attento alla ‘storia di genere’ ci aiuterebbe ad allargare i nostri orizzonti. Per una volta è una voce maschile, quella di un grande storico – americanista e studioso delle fonti orali – come Alessandro Portelli ad aprire il mio sguardo e a dare conforto al disagio mio e di altre, credo; a commuovermi. Riportiamo su questa Newsletter di Articolo3 il suo scritto, 8 marzo, i nomi della scintilla (il Manifesto, 8 marzo 2011, qui sotto pubblicato integralmente grazie alla redazione del giornale). Che cerca, risalendo ai nomi, le provenienze delle 145 operaie morte nell’incendio della Triangle Shirtwaist Factory di New York, nel marzo del 1911. Immigrate, donne, operaie: "tre volte senza diritti". E, per di più, spesso minorenni. Molte erano italiane, alcune ispaniche. A colpirmi è anche il fatto che ben 102 erano ebree, proletarie provenienti dagli shtetl dell’Europa orientale: spesso in fuga, oltre che dalla povertà, dall’antisemitismo. La storia dell’8 marzo dovrebbe costringerci a un pensiero plurale che infranga pregiudizi di ogni tipo; dovrebbe indurci a promuovere pratiche di ascolto reciproco per costruire insieme una nostra forza che nessuno possa usare per scopi minori. Se nelle ‘nostre’ iniziative non coinvolgiamo le cittadine migranti, le concittadine sinte e rom, le rifugiate, quelle che appartengono alle minoranze religiose e, in generale, tutte quelle che fanno parte di qualche minoranza discriminata, se non sappiamo dare voce a una molteplicità di racconti diversi – sul lavoro, sull’amore, sulla nascita, sull’infanzia, sulla malattia, sulla nostalgia – , se non riusciamo a fare questo allora qualcosa non va nel nostro modo di prendere parola e di porgere ascolto. Cioè nel nostro senso politico della vita.

Maria Bacchi

Con piacere segnaliamo che a Brescia, a Varese e a Milano, per portare alcuni esempi, ci sono gruppi di donne che hanno cominciato a ragionare nella prospettiva di incontro con le donne migranti. MB

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