martedì 21 dicembre 2010

Newsletter n.45/2010 - Discutendo di "Nonostante Auschwitz: il 'ritorno' del razzismo in Europa", con Alberto Burgio*

Venerdì 10 dicembre scorso il circolo ARCI di Mantova intitolato a Nelson Mandela ha tenuto la sua prima manifestazione pubblica incontrando il prof. Alberto Burgio, intervistato da Enrico Grazioli direttore de «la Gazzetta di Mantova» sul tema del ritorno del razzismo nell’Europa e nell’Italia contemporanee. All’incontro ha dato la sua adesione Amnesty International, Gruppo Italia 79, nell’anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Burgio, Preside della Facoltà di Filosofia dell’Università di Bologna, è fra i non molti studiosi italiani che quindici anni fa hanno aperto una nuova fase negli studi sui caratteri, il radicamento, la diffusione del pregiudizio razzista nel nostro paese. Il razzismo italiano è parte integrante dei percorsi di costruzione dell’identità nazionale dopo il 1861 e delle politiche di conquista coloniale promosse dal Regno d’Italia e dal Fascismo che trovarono compimento e organicità nella legislazione razziale del 1938. Il razzismo italiano si è declinato in varie direzioni e contesti: l’antisemitismo che si rifaceva alla più antica tradizione cattolica antigiudaica elaborandola, l’antimeridionalismo degli antropologi positivisti di fine ‘800, il pregiudizio e la discriminazione contro le popolazioni slave ai confini orientali, l’anticamitismo e l’antiarabismo contro i popoli africani delle colonie per i quali il Fascismo arrivò a elaborare politiche di apartheid un decennio prima di quanto avvenne in Sud Africa. Il razzismo italiano si è inoltre sempre condito dei più tradizionali stereotipi che hanno colpito le donne, i proletari, le persone ritenute irregolari e asociali delle quali l’esempio più rilevante è lo stigma contro i sinti e i rom. Il razzismo crea, dà corpo all’esistenza di una umanità deteriore, degenerata, persino indegna di vivere; offre certezze sulla possibilità di una umanità ordinata secondo gerarchie basate su leggi “naturali” e per questo indiscutibili, perenni. Di qui la sua forza e la sua efficacia di mito propagandato e diffuso dagli imprenditori della paura dell’Altro. Ma le “razze umane” non esistono come non esistono differenze “razziali”, le “razze umane” sono un’invenzione. Tale asserzione, confermata scientificamente sui solidi dati delle ricerche della genetica delle popolazioni, è spiegata anche dal razzismo senza differenze somatiche di cui l’antisemitismo è l’esempio più clamoroso: infatti gli ebrei non sono mai stati diversi dagli altri italiani per tratti somatici o colore della pelle. Questo aiuta a spiegare perché gli ebrei fossero costretti a portare la stella di Davide cucita sugli abiti, per poterli facilmente riconoscere. Altrimenti non sarebbero stati distinguibili. In assenza di differenze somatiche i razzisti elaborano differenze “morali” o “spirituali” a giustificare la discriminazione. Nel corso della serata si è discusso in toni preoccupati, ovviamente, delle politiche in atto di criminalizzazione dei migranti fatti diventare, per legge, “nemici interni”, “colpevoli naturali”, come dimostrano innumerevoli fatti di cronaca. Qui c’è sì l’opera degli imprenditori della paura e dell’insicurezza in tempo di crisi, ma anche la difficoltà ad argomentare e contrapporre sui mezzi di informazione risposte forti ed efficaci. Il ricco dibattito e lo stesso direttore de «la Gazzetta di Mantova» ne hanno dato testimonianza. I miti razzisti, miti perché senza fondamento nella realtà, forniscono facili capri espiatori così svolgendo una funzione di rassicurazione, distraendo da ansie e interrogativi più inquietanti. Ma i miti razzisti inducono pratiche e legislazioni discriminatorie e liberticide che indeboliscono la qualità della vita democratica, fino a minarla.

* A. Burgio, Nonostante Auschwitz, il “ritorno” del razzismo in Europa, DeriveApprodi, Roma 2010

Luigi Benevelli

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