martedì 23 novembre 2010

Newsletter n.41/2010 - Ancora sotto la gru

"LA LORO LOTTA DI OGGI E' LA NOSTRA LIBERTA' DI DOMANI"

Un’energia combattiva, coraggiosa, rumorosa e anche allegra ha attraversato Mantova sabato pomeriggio; eravamo tante e tanti, anche se non tantissimi, alla manifestazione per il permesso di soggiorno agli immigrati e alle immigrate che vivono e lavorano in Italia. C’era la consapevolezza di partecipare a qualcosa di nuovo: una lotta per smascherare leggi ingiuste e discriminatorie, per denunciare l’invisibilità a cui sono costretti dall’invenzione del reato di clandestinità decine di uomini e donne: non delinquono, lavorano, o vorrebbero lavorare, ma non sono riusciti a passare attraverso le maglie assurde e insensate della sanatoria 2009. Una manifestazione anche contro le frodi e gli abusi degli spacciatori di falsi permessi di soggiorno.

LA LORO LOTTA
Non ci sono oratori ufficiali, anche gli organizzatori sono soggetti nuovi: Il Coordinamento migranti Basso Mantovano e il Comitato 1° marzo di Mantova. Un robusto sostegno all’organizzazione è venuto dai giovani dei gruppi della sinistra radicale. Ma i ragazzi e le ragazze che guidano il corteo probabilmente non sono nati in Italia anche se, in perfetto italiano, scandiscono a ritmo di rap slogan inventati per l’occasione come “Basta truffe”, “Basta pagare”, “Siamo tutti nipoti di Mubarak” e lo ‘storico’ “Lotta dura, senza paura”. La paura di mostrarsi in prima linea per molti giovani migranti forse c’è ed è del tutto comprensibile. Lo ricorda Chaimaa Fatihi, studentessa, giovanissima attivista per i diritti degli immigrati : “Se i ragazzi che sono stati sulla gru a Brescia e quelli di Milano hanno deciso forme di lotta così radicali, è perché si sono sentiti presi in giro dal governo e dagli speculatori: la loro lotta di oggi è la nostra libertà di domani. Noi, giovani di seconda generazione, che ancora non abbiamo cittadinanza né diritto di voto, non è detto che domani non ci troviamo nella loro situazione”.
Chaimaa e gli altri esprimono rabbia, speranza, paura, consapevolezza con forme di lotta radicali e civili insieme. Le discriminazioni, le truffe, i diritti negati, il razzismo che troppo spesso incontrano non sono riusciti ancora a creare un antagonismo insanabile con la società in cui vivono: espongono se stessi a rischi, magari, ma esprimono una fortissima volontà di far capire le proprie ragioni, di essere parte attiva – e critica – della società che oggi li respinge; si inseriscono con intelligenza creativa nelle nostre migliori tradizioni di lotta. Non possono essere lasciati soli.

LA MEMORIA DI MARINO E LO SDEGNO DI ANWARA
La manifestazione procede rumorosa, gonfiandosi mentre scorre per le strade di una città che, tranne sporadici banchetti di raccolta firme e qualche discreto presidio, il sabato pomeriggio sembrava conoscere soprattutto shopping, movida e happy hour. Tra canzoni e slogan si riesce a discutere.
Entra nel corteo anche Marino, decenni di lavoro da emigrato in Svizzera, una solida coscienza dei diritti dei lavoratori, l’amarezza di vivere in un Paese immemore delle migliori tradizioni della lotta politica: “Nemmeno in Svizzera gli immigrati venivano trattati come oggi in Italia”, dice. “Certo, se tentavi il ricongiungimento, i figli dovevi nasconderli in casa, e se facevi attività politica ‘sovversiva’ rischiavi l’espulsione immediata”. E lui, che all’impegno politico non ha rinunciato nemmeno in quelle condizioni, alla manifestazione di sabato non poteva mancare. Fra i partecipanti al corteo si intrecciano storie; si ragiona sulla necessità, d’ora in poi, di imparare a far politica insieme, nativi e migranti; ci si compiace della mescolanza di generazioni. Davanti alla Questura, prima di lasciarci, dopo quasi tre ore di manifestazione, ascoltiamo l’intervento appassionato di Anwara, giovane studentessa bengalese che di getto, con voce così ferma da far fremere, rivolge agli italiani un appello forte: “Io pago le tasse e pago anche per il permesso di soggiorno, mi comporto bene, non commetto reati io; allora perché non ho gli stessi diritti degli italiani? Tutti sapete, anche gli italiani lo sanno, che nelle nostre famiglie ci sono persone che hanno pagato, oltre ai 500 euro della sanatoria, otto, dieci mila euro per non avere il permesso di soggiorno: chi glieli restituisce adesso? Perché truffate questi clandestini, questi stranieri? Siamo poveri, veniamo da paesi dove c’è la guerra, la fame, dove non c’è lavoro”. Mentre invita altri ragazzi a intervenire, senza avere paura, il corteo intona con più forza “Basta truffa! Basta pagare!”.

E NOI?
Lo stesso giorno, ancora una volta, la Gazzetta di Mantova annunciava in prima pagina Falsi permessi per badanti, tre in carcere. Chiedevano 4000 euro a straniero. Verifica su duecento immigrati. Un’intera pagina, la 15, racconta una vicenda simile a quelle che anche nelle settimane scorse anche noi abbiamo denunciato: “Il trucco consisteva nel far credere alla prefettura che ci fossero delle famiglie mantovane che avessero assunto alcuni egiziani come badanti […] un modo per far avere il permesso di soggiorno a chi era disposto a pagare fino a 4 mila euro per questo (più altri 500 all’Inps perché questo prevedeva la sanatoria)”. Ma le lungaggini burocratiche hanno sfinito gli egiziani in attesa dei finti permessi: si sono rivolti alla questura di Mantova e hanno raccontato tutto. Sono finiti in manette due italiani e un egiziano che faceva da tramite. A questo si aggiunge Sanatoria badanti, affare per tutti su Voce di Mantova il 24 novembre: arrestate quattro persone, due italiane, 4mila gli euro pagati per ogni permesso. La rassegna dei quotidiani lombardi che ci fornisce Data Stampa riporta, dall’inizio dell’anno, almeno 16 articoli che denunciano episodi di questo genere; si riferiscono quasi esclusivamente a Mantova e a Brescia: non a caso il Procuratore capo di Mantova, Antonino Condorelli, ha parlato delle truffe ai danni di immigrati come di un “dramma quotidiano”. Pensando a questa squallida “banalità del male”, ascoltando le dure parole di Anwara, quelli che erano in piazza sabato si chiedevano con un filo di malessere: “Ma gli altri dove sono?”. I ‘nostri’ altri, intendevamo; quelli che manifestando non rischiano nulla.

Maria Bacchi

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