martedì 27 luglio 2010

Newsletter n.27/2010 - L'inermità armata dell'uomo-figlio

Per esprimere il concetto su cui intendo portare la mia riflessione si usa di solito una parola dotta, ossimoro, accostamento di due parole di senso contrario. In modo più semplice e più diretto si può dire che il dominio dell’uomo sulla donna si distingue da tutti gli altri rapporti storici di potere per le sue implicazioni profonde e contraddittorie.
Innanzi tutto, la confusione tra amore e violenza: siamo di fronte a un dominio che nasce e si impone all’interno di relazioni intime, come la sessualità e la maternità. Ci sono parentele insospettabili che molti non riconoscono o che preferiscono ignorare. La più antica e la più duratura è quella che lega l’amore all’odio, la tenerezza alla rabbia, la vita alla morte. Si distrugge per conservare, si uccide per troppo amore, si idealizza l’appartenenza a un gruppo, una nazione, una cultura, per differenziarsi da chi ne è fuori, visto come nemico.
In uno dei suoi saggi più famosi –Il disagio della civiltà (1929) – Freud, dopo aver descritto Eros e Tanatos, amore e morte, come due pulsioni originarie, è costretto a riconoscere che sono meno polarizzate di quanto sembri. E dove l’intreccio è più sorprendente è proprio nel rapporto con l’oggetto d’amore.

“L’uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d’amore, capace, al massimo di
difendersi se viene attaccata; ma occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche
una buona dose di aggressività. Ne segue che egli vede nel prossimo non soltanto un
eventuale aiuto e oggetto sessuale, ma anche un invito a sfogare su di lui la propria
aggressività, a sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, ad abusarne
sessualmente senza il suo consenso, a sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, ad
umiliarlo, a farlo soffrire, a torturalo e a ucciderlo”. (nota1)


Anziché limitarsi a deprecare la violenza, invocando pene più severe per gli aggressori, più tutela per le vittime, forse sarebbe più sensato gettare uno sguardo là dove non vorremmo vederla comparire, in quelle zone della vita personale che hanno a che fare con gli affetti più intimi, con tutto ciò che ci è più famigliare, ma non per questo più conosciuto.
Gli omicidi, gli stupri, i maltrattamenti fisici e psicologici che hanno come oggetto le donne, sono oggi ampiamente documentati da allarmanti Rapporti internazionali, riferiti dalle cronache dei quotidiani, gridati in prima pagina quando sono particolarmente crudeli o spettacolari. A uccidere, violentare, sottomettere, sono prevalentemente mariti, figli, padri, amanti, incapaci di tollerare pareti domestiche troppo o troppo poco protettive, abbracci assillanti o abbandoni che lasciano scoperte fragilità maschili insospettate.
Nessuno sembra trovare inquietante che il corpo su cui l’uomo si accanisce sia quello che gli ha dato la vita, le prime cure, le prime sollecitazioni sessuali, un corpo che l’uomo ritrova nella vita amorosa adulta, e con cui sogna di rivivere l’originaria appartenenza intima a un altro essere.[...]Continua a leggere il saggio di Lea Melandri


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