martedì 20 luglio 2010

Newsletter n.26/2010 - L'imbarcazione è stata sequestrata: dei naufraghi nessuna notizia

Ma com’è possibile chiamare informazione quella che viene data dai nostri telegiornali?
Martedì 20 luglio, Tg 2 delle ore 13. La notizia, data con scarsissimo rilievo e taciuta da molti altri telegiornali, è questa: una barca a vela di diciotto metri, è stata bloccata la scorsa notte dai militari della Sezione Operativa Navale della Guardia di Finanza di Otranto. A bordo 60 immigrati di etnia afgana ed iraniana, la metà dei quali donne e bambini anche molto piccoli, tutti stipati sottocoperta. I finanzieri hanno arrestato i due "scafisti", entrambi di nazionalità turca, con l'accusa di traffico di esseri umani e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Dai primi accertamenti delle "fiamme gialle", sembra che il viaggio per mare, cominciato in Turchia, sino alla costa pugliese sia durato almeno cinque giorni. Il Tg conclude il servizio comunicando che l’imbarcazione è stata sequestrata.
Niente viene detto circa la sorte degli esseri umani che erano a bordo della barca a vela; tutti in fuga da paesi devastati dalla guerra e da una dittatura che tutti i media occidentali concordano nel definire feroce. Respinti? Sistemati in un Centro di identificazione ed espulsione? Informati circa il loro diritto di chiedere asilo politico? La Rai non ce lo dice, c’è ben altro di cui parlare in un afoso mezzogiorno d’estate.

Forse qualcuno dei sessanta afgani e iraniani bloccati a Otranto fra qualche mese finirà a chiedere l’elemosina per le nostre strade, forse incontrerà vigili che niente sanno dell’inferno dal quale è fuggito e lo multeranno per accattonaggio molesto. Se non troverà alloggio e cercherà un riparo di fortuna sotto un ponte o in un giardino pubblico potrà essere multato per bivacco e probabilmente verrà incriminato per il reato di clandestinità. E’ facile che accada, anche perché l’Italia è, scandalosamente, l’unico Paese dell’Unione Europea nel quale manca una legge organica sui rifugiati e i richiedenti asilo.

Che persone disperate, impossibilitate a rientrare nel proprio paese d’origine, escluse dal mondo del lavoro, cadano nelle mani di chi li sfrutta è possibile, ma sul racket dell’accattonaggio, al quale le ordinanze di divieto fanno continuamente riferimento, occorrerebbero notizie certe, dato che quelle che circolano attualmente riguardano quasi esclusivamente l’uso di minori: situazioni, del resto già, opportunamente, perseguite per legge.

Francamente troviamo difficile comprendere le parole dell’Assessore De Pietri, così come compaiono sulla Gazzetta di Mantova di oggi: “Attenzione a non confondere accattoni molesti e parcheggiatori abusivi. I primi tengono un comportamento sbagliato perché fanno capo a un racket; i secondi vanno aiutati […]”. Strana distinzione. Alcune amministrazioni, come quella romana, parlano di racket dei parcheggiatori abusivi; altre si limitano a denunciare lo spostamento organizzato di gruppi di accattoni dai comuni dove entrano in vigore ordinanze come quella mantovana a quelli in cui l’elemosina non è perseguita. In ogni caso tutte le associazioni che si occupano seriamente di tratta di esseri umani e di racket di ogni tipo insistono sulla necessità di interventi in difesa delle vittime del racket, non certo sulla loro punizione. Difesa molto spesso affidata ad associazioni di volontariato. E anche a questo proposito l’assessore sbaglia tiro, invitando chi protesta contro l’ordinanza antiaccattonaggio a impiegare il proprio tempo nel volontariato. La maggior parte di noi lo fa da anni, felice di donare gratuitamente il proprio tempo per le cause in cui crede.

Maria Bacchi

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